1969, un disastro. Si può riassumere così la stagione di F1 della Scuderia Ferrari SpA SEFAC. Il 1969 è, per la Ferrari, un anno di transizione e, al contempo, di radicali cambiamenti. Il Marchio fondato da Enzo Ferrari, infatti, è acquisito dalla FIAT; un accordo commerciale storico che consente alla Casa di Maranello di proseguire le attività sportive (autentica “mission” della Ferrari ai tempi del “Drake”) grazie ad una provvidenziale boccata d’ossigeno in termini finanziari.
Al tramonto degli Anni ’60, infatti, la Ferrari vive un periodo tormentato e travagliato, tanto al livello aziendale quanto sportivo. Del resto, è tutta la società italiana — dopo i bagordi del miracolo economico a cavallo tra gli Anni ’50 e la prima metà degli Anni ’60 — a patire quei mutamenti e quelle tensioni socio-culturali che caratterizzeranno la fine degli Anni ’60 e gran parte degli Anni ’70.
Tra gli episodi più significativi ad inquadrare i tormenti prettamente ferraristi, il controverso e litigioso abbandono di John Surtees, la morte di Lorenzo Bandini, l’altrettanta discussa uscita del Direttore Sportivo Eugenio Dragoni, il forfait datato 1968 all’International Championship for Makes, il notevole sforzo economico e tecnico profuso nel corso della estenuante battaglia con la Ford nelle più importanti corse Endurance. A tutto ciò, si aggiunge un Mauro Forghieri il quale, nel 1969, appare defilato rispetto all’operato sui campi gara, intento a riorganizzare lo staff tecnico del Reparto Corse e a lavorare sulla nuova vettura (nascerà la 312B spinta dal celeberrimo V12 di 180°). Ed è proprio nel 1969 che la Ferrari, dopo un 1968 inattivo, rientra nell’International Championship for Makes schierando la nuova Ferrari 312P di classe Prototype 3000 (P3.0).
Nel 1969, anche la F1 attraversa un periodo di transizione. Poche, infatti, le auto al via. Poche ma, comunque, buone. Il punto più basso di questa parabola discendente dal punto di vista quantitativo si registra in due occasioni: al GP di Francia (Clermont-Ferrand) — appena 13 i partenti — e al GP di Germania (Nürburgring), caratterizzato da 21 auto al via tra Formula 1 e Formula 2; ancora 13 le monoposto di F1 partite. Brabham, BRM, Cooper, Eagle, Ferrari, Lotus, Matra, McLaren sono i costruttori che prendono parte, anche in forma non continuativa, ai GP iridati di F1 del 1969. Prima tappa in Sudafrica (Kyalami, 1 marzo), undicesima ed ultima prova in Messico, sul tracciato di Città del Messico (19 ottobre). Il Regolamento Tecnico contempla motori aspirati la cui cilindrata massima è pari a 3000 cc e sovralimentati di 1500 cc. Il peso minimo delle monoposto è di 500 kg.
La Ferrari schiera due modelli: la 312 F1-68 (0 312/68), ereditata dalla stagione 1968, e la 312 F1-69 (o 312/69), logica evoluzione della monoposto dell’anno precedente ma che presenta sostanziali aggiornamenti in ogni area. Ad iniziare dal motore, il 12 cilindri in V di 60°, aspirato, bialbero in testa, 4 valvole per cilindro e di 2989,56 cc di cilindrata totale (cilindrata unitaria pari a 249,12 cc); questo, infatti, viene nuovamente modificato, riportando l’aspirazione al centro del V e lo scarico all’esterno del V, contrariamente, pertanto, alle 312 schierate nel 1967 e 1968. Le misure di alesaggio e corsa sono pari a 77 mm x 53,5 mm, il rapporto di compressione è di 11:1, l’iniezione è di tipo indiretto e realizzata dalla Lucas. La potenza massima, all’apice evolutivo, si aggira attorno ai 440 CV a 11,000 giri/minuto. Durante la stagione, tuttavia, verrà ancora impiegato il V12 di 60° con aspirazione all’esterno del V e scarico al centro del V; il motore in tale configurazione verrà utilizzato da Pedro Rodriguez (Italia, Canada, USA, Messico) e da Ernesto Brambilla nel corso delle prove del GP d’Italia.
Il nuovo, inedito 12 cilindri in V di 180° della 312B (vettura che debutterà in occasione del GP del Sudafrica del 1970), invece, presenterà una cilindrata totale appena maggiorata (2991,01 cc; cilindrata unitaria di 249,25 cc) e misure di alesaggio e corsa riviste, pari a 78,5 mm x 51,5 mm.
Il motore delle Ferrari 312 (1966-1969) è frutto di “improvvisazione”. La Ferrari, infatti, all’alba della introduzione delle unità aspirate di 3000 cc (1966), non aveva un motore pronto. Enzo Ferrari spingeva per l’adozione di un 12 cilindri, vanto e simbolo della Casa di Maranello. I tecnici del Cavallino accontentavano il Commendatore rispolverando il vecchio 12 cilindri in V di 60° sviluppato negli Anni ’50. L’unità — sì valida ma ormai pesante e concettualmente datata — verrà costantemente aggiornata in ogni sua area: dall’albero motore alle teste, dal numero delle valvole per cilindro (dapprima 2, poi 3, infine 4) ai cilindri stessi (non più canne avvitate bensì provviste di guarnizioni), dalla iniezione indiretta alla collocazione (più volte modificata) di aspirazione e scarico. Benché aggiornato ed evoluto, questo V12 di 60° paleserà evidenti limiti, specie in termini di peso e ingombri, andando ad inficiare gli aspetti positivi sotto il profilo telaistico ed aerodinamico delle 312 (telaio semi-monoscocca in alluminio). Dopo un 1966 globalmente soddisfacente ma, probabilmente, non sfruttato appieno, un 1967 in netto calo ed un 1968 in lieve crescita ma ancora complessivamente sottotono, ecco il disastro datato 1969.
Al GP del Sudafrica, la Ferrari schiera una sola 312/69, affidandola al bravo (veloce ed ottimo collaudatore, dotato di una invidiabile sensibilità nella messa a punto) ma sfortunato Chris Amon. Tutto sembra funzionare bene: Amon segna il 5° tempo, a pochi decimi dalla Brabham BT26-Cosworth DFV Motor Racing Developments Ltd di Jack Brabham, in pole-position. Il ritiro, al 34° giro, per problemi di accensione, pone fine ad una gara sino a quel momento opaca. È ancora il solo Amon a portare in gara la 312/69 in quel di Montjuïc (GP di Spagna). A qualifiche assai convincenti (2° tempo alle spalle della Lotus 49B-Cosworth DFV Gold Leaf Team Lotus condotta da Jochen Rindt) non seguirà un GP altrettanto positivo: al 56° giro, quando occupa la prima posizione, Amon deve abbandonare la corsa a seguito della rottura del V12 di Maranello. Una simile sorte toccherà il veloce pilota neozelandese anche in quel di Monaco: 2° tempo in qualifica a pochi decimi dalla Matra MS80-Cosworth DFV Matra International di Jackie Stewart e ritiro in gara (giro 16, rottura del cambio) mentre occupa la 2a posizione.
A Zandvoort, finalmente, la Scuderia Ferrari iscrive due 312/69, affidandole a Chris Amon e Pedro Rodríguez. Il pilota messicano, però, non scenderà mai in pista. Amon, dal canto suo, riesce a conseguire i primi punti mondiali per la Ferrari: scattato al via col 4° tempo, termina la corsa in 3a posizione, alle spalle della Matra MS80-Cosworth DFV Matra International di Stewart e della Lotus 49B-Cosworth DFV Rob Walker/Jack Durlacher Racing Team di Jo Siffert. In Francia, sul tracciato di Clermont-Ferrand, Amon è ancora una volta costretto al ritiro: partito col 6° tempo, deve abbandonare la corsa al 30° giro (su 38 previsti) a causa della rottura del motore. Sino a quel momento, occupava la 4a posizione.
Il circuito di Silverstone è il teatro del GP di Gran Bretagna. La Ferrari schiera due vetture: la 312/69 per Amon e la 312/68 per Rodríguez. Le qualifiche vedono le Ferrari non brillare: Amon è 5°, Rodríguez 8°. Il GP, incolore per le Rosse di Maranello (salvo la fulminea partenza del messicano: al primo giro è 4°), vede Amon ritirarsi al 45° giro (cambio), Rodríguez abbandonare al 61° (motore). Dopo aver rinunciato a prender parte al GP di Germania (i dissidi tra Amon e la Ferrari sono ormai insanabili), la Scuderia Ferrari si ripresenta in pista in occasione del GP d’Italia. Ma anche l’appuntamento di casa riserva delusioni. Due le Ferrari iscritte: oltre alla 312/69 #10 per la wild-card Ernesto “Tino” Brambilla (fratello del più famoso Vittorio), vi è anche la nuova 312B per Chris Amon. Ma Brambilla, infortunato, non prenderà parte alla corsa. Al suo posto subentra Rodríguez, il quale non andrà oltre il 12° tempo in qualifica. Sarà la 312/69 del messicano (dotata della versione precedente del V12 di 60°, ossia con aspirazione all’esterno del V e scarico al centro del V) l’unica Ferrari che, alla fine, scenderà in gara a Monza. Rodríguez chiuderà la corsa in 6a posizione ma doppiato di 2 giri.
Il trittico americano — GP del Canada (Mosport Park), GP degli USA (Watkins Glen) e GP del Messico (Città del Messico) — vede il solo Pedro Rodríguez portare in gara, sotto le insegne del North American Racing Team, la 312/69 ancora equipaggiata col V12 caratterizzato da aspirazione all’esterno del V e scarico all’interno del V. Vettura, ormai, deludente in qualifica (13° in Canada, 12° negli USA, 15° in Messico) e che solo un mai domo Rodríguez — pilota provvisto di immenso talento — riesce a portare a punti (6°) a Watkins Glen, sebbene riesca ad ultimare solo 101 passaggi su 108 previsti. Il ritiro a Mosport Park (problemi alla pressione dell’olio) ed il 7° posto maturato in Messico archiviano una stagione gravemente insufficiente per la Scuderia Ferrari.
Chris Amon totalizza 4 punti: il neozelandese non va oltre il 12° posto in campionato. Pedro Rodríguez, invece, racimola 3 punti, che gli valgono il 15° posto nella graduatoria Piloti. Sette, dunque, i punti ottenuti dalla Ferrari, il cui impegno nel Mondiale si è rivelato incostante, incompleto e costellato di problemi di varia natura. La classifica Costruttori parla chiaro: 6° ed ultimo posto, in coabitazione con la BRM. Lontanissimi gli avversari: Matra-Cosworth totalizza 66 punti, Brabham-Cosworth 49 (51 senza scarti), Lotus-Cosworth 47, McLaren-Cosworth 38 (40 senza scarti).
Nel corso del 1969, vengono impiegati due telai di 312/69: lo 0017 (GP del Sudafrica, BRDC International Trophy di Silverstone con Chris Amon al volante, GP di Spagna, GP di Francia, GP di Gran Bretagna, GP del Canada, GP degli USA, GP del Messico) e lo 0019 (GP di Monaco, GP d’Olanda, prove del GP di Gran Bretagna con Amon alla guida, prove del GP d’Italia affidato a Brambilla, GP d’Italia affidato a Rodríguez). Il telaio della 312/68 utilizzato da Rodríguez in occasione del solo GP di Gran Bretagna è lo 0009, impiegato anche da Derek Bell in occasione del BRDC International Trophy del 1969. Particolare la 312/69 0017 impiegata da Amon in occasione del GP di Gran Bretagna (Silverstone, 19 luglio 1969), dotata di radiatore olio annegato all’interno di un apposito convogliatore-effusore posto a valle del motore. Ai lati del convogliatore-effusore, sono apprezzabili i profili alari regolabili nell’incidenza. Parimenti alle altre 312, i dischi freno posteriori sono collocati entrobordo. Interessante anche la 312/69 proposta a Montecarlo, provvista di spoiler posteriore a valle del motore, a circondare il radiatore olio. Una soluzione molto simile a quanto fatto, nel medesimo periodo, dalla Lotus. Diverse, infine, le configurazioni di ali anteriori impiegate nel corso del Mondiale 1969, caratterizzate da piante e sezioni differenti.
L’immagine di copertina, mostra Chris Amon al volante della Ferrari 312/69 mentre affronta il bel circuito di Clermont-Ferrand. Qui, sotto, ancora Amon al GP di Monaco e a Silverstone.
La Scuderia Ferrari incapperà in altre due annate particolarmente negative: il 1973 — stagione nel corso della quale la Casa di Maranello schiera le Ferrari 312B2 e 312B3 — ed il 1980, durante il quale la Ferrari 312T5 si dimostra monoposto superata e ormai non più competitiva. Solo i 4 punti conquistati dalla Alfa Romeo salvano la Ferrari, in quel cupo 1980, dall’ultimo posto nella graduatoria Costruttori. Il Cavallino totalizza appena 8 punti in 14 GP in calendario.
Ma quel 1969 rimane tra le peggiori stagioni della Ferrari in F1. Mentre i primi uomini mettevano piede sulla Luna, la Ferrari toccava il fondo.
Scritto da: Paolo Pellegrini