La notizia sta facendo il giro del web. Nel maggio del 2020, verrà ufficialmente presentata una delle vetture Gran Turismo più estreme mai prodotte. Non in termini di cavalli o velocità massima bensì per quanto concerne la configurazione aerodinamica.
Stiamo parlando della GMA T.50, supercar intesa a celebrare i 50 anni di attività del celeberrimo progettista sudafricano. Di chi parliamo? Di Gordon Murray. L’acronimo GMA, infatti, sta per Gordon Murray Automotive. Spinta da un V12 aspirato realizzato dalla Cosworth capace di esprimere 12.000 giri/minuto, la T.50 sarà estrema in tutto: nel prezzo (circa 2,3 milioni di Euro), negli esemplari prodotti (le consegne partiranno nel 2022: 100 esemplari di serie a cui si aggiungeranno 25 esemplari destinati alla pista), nel peso (circa 980 kg). Auto estrema ma, soprattutto, caratterizzata da una aerodinamica assai elaborata e ricercata.
Al posteriore, infatti, spicca una elettro-ventola (48 volt) dal diametro di 400 mm finalizzata ad aspirare l’aria dal profilo estrattore, quest’ultimo particolarmente generoso nelle dimensioni e nell’angolo di incidenza. La ventola, in questo caso, ha il compito primario di energizzare lo strato limite che scorre lungo il profilo estrattore, rendendolo, pertanto, più efficiente. L’aerodinamica della T.50 è stata studiata, nella galleria del vento di Silverstone, in collaborazione col Racing Point F1 Team.
Come noto, l’idea di incrementare — o persino realizzare — l’effetto suolo mediante l’utilizzo di una ventola aspirante non è inedita.
1970, arriva la rivoluzionaria Chaparral 2J
Nel 1970, la Chaparral e Jim Hall sorprendono tutti con la rivoluzionaria 2J Can-Am. La originale e modernissima biposto statunitense è, a tutti gli effetti, la prima vettura da competizione a presentare tanto le ventole aspiranti quanto le minigonne mobili. Le fiancate, infatti, sono caratterizzate da bandelle scorrevoli verso l’alto e il basso (le minigonne mobili, appunto, adottate in F1 solo a partire dalla fine degli Anni ’70) atte a sigillare il fondo vettura così da amplificare e preservare il campo di depressione. Le bandelle sono realizzate in Lexan, materiale policarbonato. L’aria che investe lo spazio tra suolo e vettura, dal canto suo, viene aspirata da due ventole poste al retrotreno.
Queste ventole sono azionate da un motore ausiliario, un bicilindrico a due tempi Rockwell JLO di 247cc ed erogante 45 CV. Questo piccolo motore è collocato a valle del V8 di 90° Chevrolet ZL1 di 7620cc di cilindrata (oltre 650 CV a circa 7000-7200 giri/minuto), tra i due terminali di scarico — posti molto in alto — del “big block” americano. Le due ventole sono in grado di espellere 273 m³ di aria al minuto ad un regime di 6000 giri/minuto. Avviato il motore a due tempi (e con il V8 ancora spento), la 2J inizia subito ad abbassarsi verso il suolo — quasi fosse una ventosa — per effetto della depressione realizzata tra suolo e vettura. Singolare, a V8 in moto, l’accavallarsi di sound: quello cavernoso e lacerante del “big block” Chevy e quello monocorde e ronzante del 2 tempi azionante le ventole.
Veloce e “scomoda”, la Chaparral 2J — dopo essere stata dichiarata legale in un primo momento — verrà definitivamente messa al bando grazie ad un autentico (e sleale) tiro mancino ordito dalla Federazione Internazionale dell’Automobile e dalla McLaren, tra le regine della Can-Am. Jim Hall, in segno di protesta, non realizzerà mai più vetture Sport-Prototipo.
1978, Gordon Murray e la meteora Brabham BT46B
Il motorsport è bizzarro. Ed ecco che soluzioni tecniche dichiarate illegali nel 1970 si riaffacciano in Formula 1 nel 1978. La Lotus 79 — e ancor prima l’importantissimo e cruciale modello 78 — ripresenta le minigonne, quelle stesse bandelle scorrevoli all’interno delle fiancate concretamente applicate per la prima volta sulla Chaparral 2J.
Dalla fine degli Anni ’70 e sino al 1982, le wing-car di Formula 1 fanno affidamento — per la realizzazione dell’effetto suolo — principalmente su minigonne (mobili sino al 1980, fisse nel biennio 1981-1982) e tunnel Venturi. Numerose, in tal senso, le variazioni sul tema.
Gordon Murray, subentrato agli illustri Ron Tauranac e Ralph Bellamy, si issa ben presto — a partire dalla originale Brabham BT42 del 1973 — nell’Olimpo dei progettisti. Linee accattivanti e soluzioni sempre innovative e fuori degli schemi caratterizzano tutte le vetture disegnate dal genio di Durban. Il continuo sviluppo di linee a cuneo, squadrate, piramidali e triangolari e la sperimentazione in fatto di collocamento dei principali organi meccanici (radiatori su tutti) portano alla nascita, nel 1978, della estrema, inimitabile Brabham BT46A, stadio finale evolutivo della BT45 del 1976.
Il 1978 costituisce un anno di passaggio: le prime wing-car, infatti, convivono con F1 dalla aerodinamica sì ricercata ma più “tradizionale” e ancora non compiutamente ad effetto suolo. La BT46A è tra queste. Dispone già di minigonne ma non può far affidamento su tunnel Venturi.
Gordon Murray, tuttavia, ha già in mente il colpo da fuoriclasse, l’arma che potrebbe sovvertire le sorti del campionato. Riprendendo i concetti lanciati dalla Chaparral 2J Can-Am del 1970, appronta la Brabham BT46B, logica evoluzione della BT46A.
La Brabham intraprende il Mondiale di F1 1978 con la BT45C-Alfa Romeo, monoposto che, in occasione dei GP di Argentina e Brasile, va a podio con Niki Lauda. Dal GP del Sudafrica, entra in scena la veloce e competitiva BT46A, la quale consente a Lauda di centrare la pole-position al debutto e di cogliere altri due preziosi podi (John Watson a Kyalami, Lauda a Monaco). Al GP di Svezia subentra la BT46B.
Dotata di minigonne atte a sigillare il fondo vettura (le bandelle impediscono ai flussi esterni di penetrare, preservando, in tal modo, il campo di depressione che regna tra suolo e vettura), la BT46B si distingue per una ventola al retrotreno.
Come sulla Chaparral 2J, la ventola (dal diametro di 460 mm) aspira l’aria dal fondo vettura, realizzando, pertanto, un “effetto ventosa”. Contrariamente alla Chaparral 2J, la ventola è azionata dall’albero primario del cambio — quindi dal motore — mediante ingranaggi riduttori. I dati ufficiosi diffusi nel 1978 indicano una riduzione dei giri del 25%, necessaria a non far superare alla ventola gli 8000 giri/minuto.
Un siffatto sistema, ovviamente, assorbe potenza al motore termico, l’Alfa Romeo 115-12 aspirato a 12 cilindri contrapposti di 2996cc (misure di alesaggio e corsa pari a 77 mm x 53,6 mm), erogante 520-540 CV a circa 12.000 giri/minuto. Si calcola una perdita di potenza dell’ordine dei 30-40 CV, perdita, tuttavia, compensata dalla maggior aderenza e velocità in curva offerta dal binomio ventola-minigonne.
La ventola, inoltre, migliora il raffreddamento del motore: questa, infatti, non solo aspira aria dal fondo vettura ma anche dalla parte superiore — e interna — della monoposto, in particolare in corrispondenza del radiatore del liquido di raffreddamento del motore. Il radiatore è coricato orizzontalmente (il musetto, ora, è caratterizzato solo da due profili alari e non ingloba più i radiatori al proprio interno), alle spalle del roll-bar e proprio in mezzo alle due bancate contrapposte del 12 cilindri progettato da Carlo Chiti.
Il sistema è completato da una sorta di “cassone di tenuta” al retrotreno, il quale impedisce che aria venga aspirata dalla parte posteriore della vettura. Al posteriore, ai lati della ventola, sono visibili i terminali di scarico sfalsati del 12 cilindri Alfa Romeo (6 in due).
La ventola, oltre ad estrarre aria da quell’importantissimo spazio interposto tra vettura e suolo, offre una certa spinta propulsiva. Essendo, inoltre, collegata al motore, essa inizia ad aspirare aria non appena il 12 cilindri Alfa Romeo viene messo in moto. Questo processo di aspirazione comporta l’immediato abbassamento della monoposto verso il suolo.
La Brabham BT46B debutta in occasione del GP di Svezia, Anderstorp, 17 giugno 1978. In qualifica, Mario Andretti (Lotus 79-Cosworth DFV) si impone con il crono di 1’22”058 (media di 176,8 km/h), seguito dalle due BT46B di John Watson (1’22”737, media di 175,3 km/h) e Niki Lauda (1’22”783, media di 175,2 km/h).
La gara vive sul duello Andretti-Lauda. Watson, infatti, quando occupa la 3a posizione, è costretto al ritiro a seguito della rottura del propulsore Alfa Romeo. Lauda bracca l’italo-americano; Andretti sbanda sull’olio lasciato dalla Renault RS01 di Jean-Pierre Jabouille e Lauda passa in testa. Siamo al giro 39. Lauda ha definitivamente campo libero quando, al giro 46, il Cosworth DFV della Lotus di Andretti cede.
Lauda va a vincere, completando i 70 giri alla media di 167,6 km/h. Al 2° posto si classifica Riccardo Patrese (Arrows FA1-Cosworth), al 3° Ronnie Peterson (Lotus 79-Cosworth).
La storia è nota. Gli avversari della Brabham — tra cui la Lotus, anch’essa contestata per l’uso delle minigonne, considerate “elementi aerodinamici mobili”, quindi (in teoria) vietati — protestano contro la soluzione sfoderata dalla BT46B. La ventola è considerata troppo pericolosa (il processo di aspirazione “spara” verso il retrotreno, inevitabilmente, sporco e detriti che si trovano in pista, fenomeno già lamentato ai tempi della Chaparral 2J), inoltre è ritenuta un dispositivo aerodinamico mobile. Ma, soprattutto, a far infuriare gli avversari è la immediata competitività mostrata dalla BT46B.
Fatto è che la Brabham BT46B di Murray è messa al bando dopo un solo GP, la Lotus, invece, vede le sue minigonne legalizzate. Stranezze “made in FIA”. Come la Chaparral 2J, la BT46B ha vita breve: entrambe vengono bandite in quanto auto provviste di dispositivi aerodinamici mobili e pericolosi. Giustificazioni molto opinabili: la realtà è che si trattava di auto molto veloci in grado di “uccidere” la concorrenza.
Dal GP di Francia al Le Castellet, torna la BT46A ed è ancora pole-position. Con questa vettura, il Parmalat Racing Team porta a termine un globalmente positivo Mondiale 1978, impreziosito dalla doppietta conseguita in occasione del travagliato GP d’Italia a Monza (1° Lauda, 2° Watson).
Una Gran Turismo sì e le Formula 1 no?
La contraddizione è evidente: una Gran Turismo di serie può presentare una ventola aspirante, auto da competizione no. Da anni, ormai, ciò che è consentito e applicabile su vetture stradali è bandito nel mondo delle corse: una logica bizzarra.
Nel 2021, come sappiamo, la F1 abbraccerà un nuovo corso tecnico, all’insegna di monoposto contraddistinte da un più marcato effetto suolo. Quale migliore occasione per contemplare anche soluzioni decisamente più estreme, quali, ad esempio, sistemi aerodinamici mobili (oltre il regolamentare DRS) e ventole aspiranti?
Difficile, realisticamente, che siffatti dispositivi aerodinamici possano ritornare in F1 e nell’automobilismo sportivo in generale. Ma, come abbiamo visto, elementi vietati oggi possono essere ammessi domani. Il motorismo, del resto, è il regno del possibile…