Così come tutti gli sportivi professionisti, anche i piloti di Formula 1, una volta terminata la loro carriera agonistica, devono necessariamente reinventarsi in altri ruoli.
C’è chi diventa imprenditore o manager, e c’è chi invece prosegue la propria esistenza abbracciando altri settori, anche lontanissimi dal mondo dei motori. Per alcuni, invece, il richiamo della F1 e della competizione in generale è stato talmente forte da aver spinto diversi ex piloti a diventare costruttori.
In certi casi questa scelta si è rivelata un successo, per altrettanti, invece, è stata una mossa sbagliata. Quelle che stiamo presentare sono le dodici storie di ex piloti di Formula 1 che, una volta appeso il volante al chiodo, si sono rimboccati le maniche ed hanno fondato una propria scuderia.
Un percorso personale fatto di soddisfazioni, sacrifici, e spesso anche forti delusioni.
1 – Jackie Oliver e la Arrows
Seguendo un ordine squisitamente alfabetico, la prima storia in questione riguarda il team britannico Arrows. Un nome già di suo fantasioso per due motivi: il primo lo dice la parola stessa, che in inglese significa “frecce”. Il secondo, forse meno noto, è che “Arrows” è l’acronimo dei cognomi dei cinque fondatori della squadra. Tra questi, vi è Jackie Oliver, ex pilota di Formula 1 con 49 GP all’attivo a cavallo tra gli anni ’60 e ’70.
Il team venne fondato nel 1978, e rimase ininterrottamente in Formula 1 fino 2002 nonostante il cambio di denominazione in “Footwork Arrows” dal 1991 al 1996. Con 291 GP disputati, nel palmarès della Arrows non compaiono vittorie, ma solo un magro bottino costituito da una pole position (conquistata dal nostro Riccardo Patrese a Long Beach nel 1981) ed 8 podi (la metà dei quali ottenuti dallo stesso Patrese).
Pur non avendo mai vinto un titolo mondiale piloti o costruttori, la Arrows ha avuto il merito di accogliere o di lanciare alcuni delle firme più prestigiose della F1. Tra questi Thierry Boutsen, Gerhard Berger, Michele Alboreto, Heinz-Harald Frentzen oltre ai due campioni del mondo Alan Jones e Damon Hill. Afflitta da gravi problemi finanziari all’inizio degli anni 2000, il team britannico andò incontro ad un inevitabile fallimento durante la stagione 2002.
2 – Il caso unico della Brabham
Nella grande storia della F1 è anche esistito un caso di un pilota capace di portare al successo una vettura che portava il suo nome. La storia in questione riguarda l’australiano Jack Brabham. Nel 1962, con due titoli mondiali conquistati con la Cooper, Brabham raggiunse un accordo con l’ingegnere aeronautico Ron Tauranac per la fondazione della propria squadra. Oltre a creare l’omonima scuderia, l’australiano portò avanti il team nell’inedito ruolo di pilota-costruttore, arrivando addirittura al sigillo del terzo titolo mondiale nel 1966, arricchito dal bis nel campionato costruttori replicato l’anno successivo con Denny Hulme.
Una volta ritiratosi dal ruolo di pilota, il nome di Brabham restò nel panorama dei costruttori fino al 1992, raggiungendo l’apice del successo degli anni ’80. Pur senza vincere altri titoli riservati ai team, la Brabham salì alla ribalta nel 1981 e 1983, con entrambi i mondiali piloti vinti dal brasiliano Nelson Piquet, anni in cui la gestione della scuderia era nel frattempo passata nelle mani di un certo Bernie Ecclestone. Oltre ai già citati campioni, in Brabham hanno militato altri piloti che, prima o dopo la loro esperienza nel team con sede in Inghilterra, si sono ritagliati un posto nell’albo d’oro della F1. Tra questi, Niki Lauda, Graham e Damon Hill e Jochen Rindt.
A seguito della tragica scomparsa di Elio De Angelis, avvenuta durante una sessione di test nel 1986, la Brabham precipitò in una crisi di risultati, culminata con il fallimento nel corso della stagione 1992. In totale, il team vanta 35 vittorie, 39 pole, 41 giri veloci, 124 podi ed 8 doppiette.
3 – Copersucar prima, Fittipaldi poi
Rivelatosi come uno dei piloti più talentuosi e vincenti della F1 degli anni ’70, niente e nessuno poteva far presagire un rapido ed inesorabile crollo della carriera di Emerson Fittipaldi, brasiliano due volte campione del mondo al volante della McLaren. E invece, all’inizio della stagione 1976, il sudamericano si lasciò convincere dalla proposta del fratello Wilson di fondare un team tutto brasiliano, ribattezzato Copersucar per motivi di sponsor.
Con Emerson alla guida del suo stesso team (pur lasciando il ruolo di manager al fratello), la nuova avventura fu un autentico disastro. Con una macchina scarsamente competitiva, Fittipaldi perse in breve tempo il contatto con i primi della classe, riuscendo a strappare l’unico podio della scuderia proprio in Brasile, nel 1978. Bruciatosi la carriera di pilota, terminata nel 1980, Emerson provò a portare avanti il progetto esclusivamente da manager. Dallo stesso 1980, persa la sponsorizzazione principale, il team venne rinominato “Fittipaldi”, e scomparve poco dopo, al termine della stagione 1981, tra mille difficoltà e con zero soddisfazioni.
4 – Il fallimento totale della Hill
Con due titoli mondiali conquistati nel 1962 e 1968, lo scozzese Graham Hill decise di lasciare la F1 nel 1975 per fondare un team tutto suo: la Embassy Hill. Nonostante il progetto ambizioso, il padre del futuro campione Damon dovette affrontare la dura realtà della squadra, che non riuscì mai a decollare.
Nonostante l’alternarsi di ben cinque piloti (compreso il futuro campione Alan Jones), la Hill nacque e morì nell’arco della stagione 1975, rimanendo ancorata in fondo alla classifica con soli 3 punti. Ogni tentativo di rilancio per la stagione 1976 venne infine bloccato dalla prematura scomparsa di Graham Hill, vittima di un incidente aereo nel mese di novembre. Con lui, anche il team scomparve definitivamente.
5 – I grandi successi della McLaren
Ben diverso fu, ed è ancora oggi, il caso della McLaren, team di nazionalità inglese fondato nel 1966 dal neozelandese Bruce McLaren. Due anni dopo la creazione del team, le vetture di Woking iniziarono a far rapidamente paura alla concorrenza con la prima vittoria, ottenuta proprio da McLaren nel GP del Belgio.
Nonostante la morte di quest’ultimo, avvenuta nel 1970 durante una gara CanAM, la realtà della McLaren non subì particolari arresti, tanto da imporsi addirittura come uno dei team più emblematici della storia della F1. Dagli anni ’70 ad oggi, il team inglese si è infatti aggiudicato 8 titoli mondiali costruttori e ben 12 piloti, facendo militare tra le proprie fila alcuni dei più grandi piloti mai esistiti come Fittipaldi, Hunt, Lauda, Prost, Senna, Hakkinen ed Hamilton. Con 182 vittorie all’attivo, 155 pole e giri veloci, 486 podi e 47 doppiette, la McLaren vive oggi uno dei suoi periodi più bui, restando comunque una delle firme più prestigiose dell’intero circus.
6 – Il disastro della Merzario
In seguito all’avventura di pilota-manager intrapresa da Fittipaldi, nella seconda metà degli anni ’70 un altro pilota tentò un simile cambiamento: l’italiano Arturo Merzario. Nel 1978, infatti, il pilota di Civenna tentò la svolta nel ruolo di costruttore, fondando l’omonima scuderia.
Nonostante le buone intenzioni, l’approccio fu un totale disastro. Tra il 1978 ed il 1979, le vetture Merzario non riuscirono quasi mai a qualificarsi ad un GP e, quelle poche volte in cui l’impresa avvenne, esse non videro mai la bandiera a scacchi. A seguito di questi insuccessi, la breve storia della scuderia subì una definitiva battuta d’arresto.
7 – La breve e curiosa storia delle Penske
Sul finire degli anni ’60, la F1 accolse un pilota statunitense che ben aveva figurato in patria: Roger Penske. Con soli 2 GP disputati, e senza particolari soddisfazioni, l’americano ritornò nel giro della F1 a metà degli anni ’70, questa volta nel ruolo di costruttore.
Fondatore dell’omonima scuderia nel 1974, Penske rimase titolare di un team di F1 fino al 1977, togliendosi la soddisfazione di portarsi a casa 3 podi ed 1 vittoria, ottenuta con John Watson nel GP d’Austria 1976. Una volta conclusa l’esperienza in F1, l’americano proseguì la sua avventura da costruttore limitatamente negli Stati Uniti, divenendo una delle realtà più vincenti e famose del panorama automobilistico americano.
8 – Il tentativo di Alain Prost
Passato alla storia come uno dei piloti più veloci dell’intera storia della F1, a metà degli anni ’90 il francese Alain Prost tentò di ritornare nel panorama del Circus dalla porta del costruttore. Rilevando l’ormai decaduta Ligier al termine della stagione 1996, nel 1997 la Francia venne rappresentata dalla Prost Grand Prix.
Nonostante diversi piazzamenti a punti, tra i quali spiccano ben 3 podi (due con Panis ed uno con il nostro Trulli), l’avventura del team del “Professore” fu caratterizzata più da bassi che da alti. Nel 2001, infine, la squadra andò incontro a grossi grattacapi economici, tanto da portare alla definitiva chiusura della Prost nel 2002.
9 – La brevissima “apparizione” della Rebaque
Figlio di un ricchissimo industriale messicano, Hector Rebaque tentò la fortuna in F1 in qualità di gentleman-driver, senza però riuscire nell’impresa di ottenere risultati di rilievo. Così, nel 1979, Rebaque divenne l’ultimo caso di pilota-costruttore. Pilotando la vettura della sua stessa squadra, la Rebaque, il tentativo fu un totale fallimento.
Presentandosi al GP del Canada di quell’anno, non riuscì a qualificarsi. Terminata la brevissima esperienza, il team sparì immediatamente.
10 – Le piccole grandi soddisfazioni della Stewart
Al termine di una brillante carriera, contraddistinta da tre titoli mondiale, Sir Jackie Stewart si riavvicinò al mondo della F1 una seconda volta, negli anni ’90. Nel 1997 infatti, riuscì nel tentativo di far esordire nel Circus un team tutto suo, omonimo e motorizzato Ford. Dal 1997 stesso al 1999 (prima di cedere il suo team alla Jaguar), la Stewart fu una delle più brillanti realtà di metà classifica, che si tolse anche la soddisfazione di aggiudicarsi il GP d’Europa 1999 con Johnny Herbert. Nello stesso anno, questa volta in Francia, fu invece Barrichello a conquistare l’unica pole della breve storia di questo team, contraddistinta da altri quattro podi.
11 – Il sogno infranto di Aguri Suzuki
Così come accadde per Fittipaldi, che volle creare un team tutto brasiliano, a metà degli anni 2000 la stessa volontà passò anche nei progetti dell’ex pilota Aguri Suzuki, che nel 2006 fondò una propria scuderia con l’obiettivo di renderla 100% “Made in Giappone”. Nacque così la Super Aguri, che rimase in vita fino al 2008 con più amarezze che soddisfazioni. La squadra nipponica, costituita per la maggior parte da piloti connazionali di Suzuki, non andò oltre il magro bottino di 4 punti conquistati, abbandonando il Circus nel 2008 per problemi economici.
12 – Il tentativo di John Surtees
La dodicesima ed ultima storia di piloti che si sono reinventati costruttori porta il nome di John Surtees. Pur provenendo dal mondo delle due ruote, abbandonato da campione del mondo, Surtees divenne il primo ed ancora oggi unico pilota ad aver trionfato sia in moto che in F1. Detentore del titolo mondiale nel 1964, ad inizio degli anni ’70 l’inglese tentò l’avventura anche in qualità di costruttore, fondando l’omonima scuderia Surtees. Nonostante i buoni propositi ed i vari sacrifici, il sogno del pilota britannico non decollò mai del tutto. Dal 1970 al 1978, conquistò infatti soltanto due podi e tre giri veloci. Un bottino che non garantì fondi sufficienti per proseguire la propria avventura in F1, terminata poco prima del campionato 1979.