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    Ferrari in affanno: privilegiate le prestazioni a scapito dell’affidabilità?

    Paolo PellegriniBy Paolo Pellegrini13 Giugno 2022
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    Mattia Binotto, Ferrari

    Da inseguito a inseguitore. Il campionato di Charles Leclerc ha cambiato faccia. I GP di Spagna, Monaco e Azerbaijan hanno assestato un duro colpo alla classifica del veloce pilota monegasco. Ma se a Monte Carlo il risultato è stato compromesso da una errata strategia del muretto box, a Barcellona e Baku è stata la Ferrari F1-75 a tradire Leclerc.

    I punti persi per strada, dunque, sono tanti. Forse troppi. Punti persi che, nell’economia di un campionato equilibrato, potranno risultare determinanti. In tutte le gare appena menzionate, infatti, Leclerc ha dovuto dire addio ai sogni di gloria quando era in testa o, in ogni caso, ampiamente in zona podio.

    Lo staff dei tecnici capitanati da Enrico Cardile (Head of Chassis Area) ed Enrico Gualtieri (Head of Power Unit Area) ha realizzato una vettura estremamente competitiva. La bellissima e originale F1-75 ha dimostrato di essere a proprio agio in ogni condizione meteorologia e in ogni pista, dalle più lente alle più veloci.

    La F1-75, tuttavia, sta mostrando — in queste ultime corse — il proprio aspetto negativo: la scarsa affidabilità. In Spagna, Leclerc è stato appiedato dalla rottura del Turbo, a Baku la vistosa fumata lascia poco spazio all’immaginazione. Inoltre, Carlos Sainz, a Baku, è stato fermato da generici e non meglio specificati “problemi idraulici”. Ad aggravare la situazione, concorrono anche le rotture occorse alla Haas VF-22 di Kevin Magnussen e alla Sauber/Alfa Romeo C42 di Guanyu Zhou. Eloquente la fumata azzurrina fuoriuscita dal V6 Ferrari della Haas del pilota danese.

    A Maranello, pertanto, suona acuto un campanello d’allarme. Il GP del Canada, in tal senso, rappresenterà un banco prova particolarmente probante.

    La Ferrari F1-75 — spinta dalla power unit Ferrari 066/7 — è solo l’ultimo esempio di vettura estremamente competitiva ma dalla “traballante” affidabilità. E, del resto, la storia della Formula 1 è colma di esempi di motori non particolarmente affidabili, anche quando assai prestazionali e — sulla carta — competitivi. In epoche recenti, i potenti e all’avanguardia V10 Peugeot, BMW, Honda e la prima generazione di V8 Honda (2006) palesavano una scarsa affidabilità a fronte di esuberanti prestazioni.

    L’inaffidabilità fa parte del gioco del motorsport. E come tale va accettata. Ed anche alla luce dei regolamenti che, da anni, “impongono” e inducono una notevole affidabilità dei motori, le rotture meccaniche vanno messe in conto.

    Nella Formula 1 contemporanea, pertanto, le rotture meccaniche condizionano negativamente in misura maggiore rispetto al passato. Se in passato, infatti, le noie tecniche erano all’ordine del giorno per tutti (complice anche e soprattutto i regolamenti che non imponevano limiti ai motori, alle trasmissioni, ecc), oggi poche rotture meccaniche possono compromettere una intera stagione.

    La Ferrari, storicamente, ha cercato di fare della solidità tecnica un proprio caposaldo. Ma non tutte le ciambelle riescono col buco. Anche il Cavallino, infatti, è incappato in annate deficitarie sotto il punto di vista della affidabilità.

    Nei primi anni di militanza in Formula 1, le monoposto Ferrari palesano una invidiabile costanza di rendimento. Nel 1954, le Ferrari 625, 500/625 e 553 lamentano una fragile affidabilità. Clamoroso il caso del GP di Francia 1954 (Reims). In quell’occasione, ben quattro Ferrari vengono fermate da rotture al motore (la 500/625 di Rosier, le 553 di Hawthorn e Gonzalez e la 625 di Trintignant). Sopravvive la 625 di Manzon, 3° al traguardo.

    Il 1969 coincide con un’altra stagione di vacche magre, anzi, magrissime. La Scuderia Ferrari vive un periodo storico aziendale tribolato, il quale si ripercuote negativamente sull’attività agonistica. Chris Amon e Pedro Rodriguez debbono fare i conti con vetture inaffidabili. In 10 GP disputati, le Ferrari 312/68 e 312/69 inciampano in ben sette ritiri per rotture meccaniche (motore, accensione, cambio, pressione olio).

    Nella seconda metà degli Anni ’80, le vetture Ferrari diventano sinonimo di inaffidabilità. Nel 1985, quando Michele Alboreto è in lizza per il titolo mondiale, qualcuno (Fiat) inizia a rompere un giocattolo che, sino a quel momento, aveva ben funzionato. A quel punto, tra il GP d’Olanda ed il GP d’Australia, la Ferrari 156/85 collassa in un buco nero. Saltano motori, Turbo, alternatori, cambi, frizioni: il mondiale è perso. Segue un negativo 1986, in cui la F186 si rivela scarsamente competitiva ma altamente inaffidabile: le rotture dei turbocompressori in gara ammontano a cinque.

    Nel 1987, la pur moderna e spesso veloce F187 è un portento di inaffidabilità. Ben 20 i ritiri in gara imputabili a noie e rotture meccaniche (tra cui molteplici guai al motore e ai Turbo). Il positivo finale di stagione — impreziosito dalle due vittorie consecutive di Gerhard Berger — mitiga una stagione altrimenti avara di risultati.

    Nel 1989, la rivoluzionaria e originale Ferrari 640 palesa più che buone prestazioni generali. Tuttavia, la precaria affidabilità ne compromette i risultati in gara. In particolare, è il nuovo cambio sequenziale con comandi al volante a rivelarsi alquanto fragile. In ben 12 occasioni (di cui 7 consecutive!), il cambio cede.

    Il biennio 1991-1992 non porta i frutti sperati. Le Ferrari 642, 643 (nel 1991 i V12 Ferrari azionano anche la Minardi M191), F92A e F92AT (nel 1992, il V12 di Maranello del 1991 motorizza anche la Dallara 192) si rivelano scarsamente competitive e assai inaffidabili. Proverbiali, in quegli anni, le fumate dei plurifrazionati realizzati a Maranello. In particolare, nel 1992, il motore cede, in gara, in almeno 8 occasioni.

    Come detto in precedenza, in una F1 in cui le rotture meccaniche sono sempre più rarefatte, ogni punto perso a causa di un guaio tecnico può rivelarsi determinante.

    Analizzando l’alta classifica, emerge un fatto: i ritiri, in queste primi otto GP, si contano sulle dita di una mano. In questa prospettiva, la Mercedes F1 W13 può ancora recitare un ruolo importante: sebbene non ancora vincente e ancora afflitta da una evidente isteresi aerodinamica, la monoposto affidata a George Russell e Lewis Hamilton può macinare punti preziosi.

    Oggi, regolamenti alla mano, le rotture meccaniche incidono come macigni su una testa. Esse non solo sono fonte di risultati gettati alle ortiche ma anche di penalizzazioni in caso di sforamento del tetto massimo di power unit impiegabili nell’arco della stagione. Più motori si rompono, e più si raggiunge la soglia critica in tempi brevi.

    La Ferrari di Leclerc è già al terzo motore, una condizione non ottimale alla vigilia del GP del Canada. Se la Ferrari non sarà in grado di risolvere — senza intaccare le prestazioni — i problemi di affidabilità, Leclerc potrà incappare ben presto in penalità in griglia di partenza. La sfida con le Red Bull RB18-Honda di Max Verstappen e Sergio Perez rischierebbe di venir seriamente compromessa.

    Un lungo campionato richiede, in ogni caso, calma e sangue freddo. I facili allarmismi potrebbero essere persino più deleteri dei motori e dei Turbo cotti e fumanti. La Red Bull ha dimostrato costanza e velocità, ma anche una certa “coperta corta” in fatto di carburante e funzionamento del DRS.

    Una Ferrari ed un Leclerc in formato mondiale debbono saper cogliere l’occasione che si è presentata in questo 2022. Un’occasione da non sprecare.

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    Paolo Pellegrini, Classe '82, amante della velocità a 360°, che sia un'auto, una moto, un aereo o i 10 secondi di un 100 metri. Disegnatore di auto e moto da corsa estreme.

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