La vita, se ti dice bene, è una cosa semplice.
Un modo fatto di piccole grandi cose, come in quella canzonetta dei Beatles: uno stallo al mercato, una bella ragazza che fa la cantante, prendersi per mano e mettere su, in un paio d’anni, una casa dolce casa e una bella famiglia. Obladì, obladà, life goes on, brah!
Se riesci a realizzare questo fortunato incastro mentre, poco più che ragazzino, vinci 4 titoli del mondo in Formula Uno, il primo appena tre anni dopo l’esordio assoluto, con un team che sembra una banda di caciaroni spregiudicati venuti fuori dal nulla, contro scuderie blasonate che ti sparano contro l’artiglieria pesante, beh, questo – consentitemi – non è facile. E’ unico. Come unico, o quantomeno orgogliosamente diverso dagli altri, è Sebastian Vettel.
Molto spesso, soprattutto durante le ultime, faticose stagioni alla Ferrari, ho sentito suonargli intorno la sinfonia del “poco”: poco carismatico per guidare la rinascita della Scuderia, poco o per niente all’altezza del Grande Predecessore Michael Schumacher, poco resistente alla pressione della sfida con Lewis Hamilton o del confronto interno con l’arrembante Charles Leclerc, poco avvezzo al corpo a corpo in gara… Potrei continuare, e non per poco, ma mi fermo qui, dal momento che tale elenco è ben noto a chi legge di Formula Uno ed è stato infoltito negli anni da ogni genere di contributo, più e meno influente.
Cosa succede accordando le trombe a un altro concetto, quello di “troppo”? Una musica simile: troppo giovane all’esordio in massima serie, troppo travolgente il suo successo in Red Bull, troppi quei 4 titoli tutti di fila, troppo emotivo e troppo coinvolto quando ha indossato i colori rossi, troppo affezionato al sogno infantile di raggiungere l’iride con la Ferrari da non vedere che quello non era il cavallo giusto per prendersi altre soddisfazioni in carriera, ma un Cavallino, bellissimo e fatale.
Fra le due melodie, c’è uno spartito in comune: nel considerare i 4 titoli mondiali di Sebastian Vettel troppi – perchè in almeno un paio di occasioni avrebbe meritato l’iride qualcun altro – o pochi – perchè non è più riuscito a ripetersi – c’è sempre una buona fetta di corresponsabilità della Ferrari. Obladì, obladà, how the life goes on!
Io, da parte mia, non so suonare, per cui non mi unirò all’orchestra che in queste ore sta eseguendo senza sosta il repertorio dettato dall’occasione, però una cosa c’è da dire: ogni addetto ai lavori, ogni collega pilota sta lasciando sul web messaggi positivi, nei quali emergono la statura dell’uomo e la caratura della persona, oltre ai meriti sportivi. Ho sempre sostenuto che la Formula Uno non sia un paese per brave persone: Seb mi sta dando torto e io sono lieta di essermi sbagliata.
Fra tutte le ragioni che posso scegliere, ricorderò sempre con affetto il giovane biondo venuto dalla ridente Heppenheim per essere arrivato chiedendo permesso, essersi sistemato tra i grandi quasi scusandosi di condividerne il palmares ed andarsene ringraziando. Non poca cosa, forse pure troppo.
La vita, se ti dice bene, è una cosa semplice, ma devi essere anche capace di far funzionare tutto. Ci vuole coraggio per misurarsi con i propri sogni da bambino, lo stesso coraggio che ci vuole per decidere di mettersi a fare altro, impegnandosi per le persone del proprio cuore e per gli ideali che contano. Sebastian Vettel – opinione personale – lo farà sembrare facile. Obladì, obladà.