Piccoli, compatti, tremendamente potenti. Parliamo dei 4 cilindri Turbo, motori che — sebbene in un arco temporale ristretto — hanno scritto nobili e importantissimi capitoli di Formula 1.
Per capire la scelta di un simile frazionamento, occorre tornare con la memoria alla prima era del Turbo in Formula 1. In quegli anni, il Regolamento Tecnico prevede la convivenza tra motori aspirati di 3000cc di cilindrata e motori sovralimentati di 1500cc. La Renault, come noto, inaugura l’epopea del Turbo in Formula 1: è il 1977.
Come sappiamo, la principale prerogativa del motore turbocompresso è l’erogare elevate potenze a fronte di ridotte cilindrate e frazionamenti. Infatti, nonostante la cilindrata dei motori sovralimentati sia esattamente la metà di quella dei motori atmosferici, i primi — nell’arco di pochi anni — eguagliano e quindi superano di slancio i secondi in quanto a potenza.
I tecnici motoristi individuano nel frazionamento a 6 cilindri il compromesso ideale: Renault, Ferrari, Honda, Porsche, Motori Moderni e Cosworth optano per suddetto frazionamento. L’Alfa Romeo sviluppa un ardito 8 cilindri, BMW, Hart e Zakspeed, invece, scelgono la via del 4 cilindri in linea. La sfida tra motori Turbo è più che mai aperta e succulenta.
Se i 4 cilindri in linea Turbo costituiscono, agli albori degli Anni ’80, una novità per la Formula 1, non lo sono in assoluto all’interno del panorama del motorismo sportivo. Tra la fine degli Anni ’60 ed i primi Anni ’70, infatti, le competizioni americane, ad iniziare da quelle USAC-CART (tra le quali spicca la 500 Miglia di Indianapolis), assistono alla nascita di un ennesimo prodigio firmato Offenhauser, azienda che offre una ulteriore vita al proprio 4 cilindri in linea, trasformandolo in unità turbocompressa.
L’ultima versione del 4 cilindri Turbo Offy (cilindrata di 2650cc) eroga oltre 780 CV a 9000 giri/minuto (pressione massima di sovralimentazione pari a 1,7 bar). Questo motore vince la sua ultima gara il 23 aprile del 1978: si tratta della Gabriel 200, disputata sullo Speedway di Trenton. A trionfare è Gordon Johncock al volante della Wildcat gestita dal Pat Patrick, il cui 4 cilindri Offy è sviluppato dalla DGS (Drake-Goosen-Sparks). L’ultima gara del 4 cilindri Offy Turbo, invece, risale al 15 agosto 1982, giorno in cui — in occasione della Domino’s Pizza Pocono 500 — Jim McElreath e Al Loquasto portano in gara rispettivamente una Eagle ed una March motorizzate Offenhauser.
Il primo 4 cilindri Turbo di F1 a entrare in scena è l’Hart 415T. Sviluppato a partire dal 4 cilindri in linea aspirato Hart 420R (2000cc), il 415T — considerata la sua artigianalità — si rivela un motore ben concepito, benché poco potente rispetto alla miglior concorrenza. La sua particolarità risiede nella cosiddetta “testa fissa”: monoblocco e teste, dunque, sono realizzati in un unico blocco, soluzione che elimina le sempre delicate guarnizioni della testata ma che, invero, non agevola gli interventi attorno alle componenti interne del motore stesso. La sovralimentazione avviene attraverso un singolo turbocompressore.
L’Hart 415T debutta nel 1981: a far da “cavia” è la Toleman TG181 disegnata da Rory Byrne e condotta da Brian Henton e Derek Warwick. Dopo una scia di mancate qualificazioni, arriva in quel di Monza la prima qualificazione, culminata in un onorevole 10° posto in gara: il merito è di Brian Henton.
Il 415T va a spingere — dal 1981 al 1986 — Toleman (modelli TG181, TG181C, TG183, TG183B, TG184, TG185), Spirit (modelli 101, 101D), RAM (modelli 01, 02, 03) e Lola (modello THL1). Nel 1985, secondo i dati divulgati all’epoca, è in grado di erogare 770-790 CV in configurazione gara. Le misure di alesaggio e corsa sono pari a 88 mm x 61,5 mm.
Il 4 cilindri Hart coglie una pole-position (Teo Fabi, Toleman TG1985, Nürburgring 1985) e tre podi. Questi ultimi sono ottenuti tutti da Ayrton Senna nel 1984 al volante della Toleman TG184 (Monaco, Brands Hatch, Estoril).
È il 1982 quando debutta il BMW M12/13 Turbo. A portare per la prima volta in gara il 4 cilindri in linea Turbo tedesco è la Brabham BT50: i piloti sono Nelson Piquet e Riccardo Partrese, il GP quello del Sudafrica. La prima vittoria arriva già al GP del Canada, grazie a Piquet: è il 13 giugno 1982.
Molto è stato detto e scritto attorno a questo formidabile propulsore. A differenza dell’Hart 415T (interamente realizzato in alluminio), il BMW M12/13 presenta il monoblocco in ghisa e “castelli” in magnesio per l’alloggiamento degli alberi a camme e relative punterie. Le misure di alesaggio e corsa sono pari a 89,2 mm x 60 mm. L’angolo tra le valvole è di 40°. Il diametro delle valvole di aspirazione è di 35,8 mm, quello delle valvole di scarico di 30,2 mm. Getti d’olio assicurano la refrigerazione dei pistoni. La sovralimentazione avviene mediante un singolo Turbo (KKK o Garrett). Il regime massimo di rotazione tocca gli oltre 11,500 giri/minuto.
Allo scopo di ridurre l’ingombro in altezza del motore (con relativo deficit sul baricentro della vettura), Gordon Murray costringe i tecnici BMW a ritoccare l’unità. A bordo della rivoluzionaria BT55 del 1986, infatti, il 4 cilindri BMW è coricato, rispetto alla verticale, di 72°. Una soluzione molto audace ma che non offre i vantaggi sperati.
All’apice degli sviluppi (siamo negli anni che vanno dal 1984 al 1987), il 4 cilindri Turbo bavarese eroga oltre 850-880 CV in gara (pressione di sovralimentazione di 3,6-3,8 bar) ed oltre 1300 CV in qualifica (pressione di sovralimentazione di 5,5 bar). Nel 1987, si parla di oltre 900 CV in gara a circa 3,8 bar. Nel 1987, ricordiamo, entra in vigore il limite massimo di pressione di sovralimentazione, fissato a 4 bar.
Il BMW M12/13 (col nome Megatron, nel biennio 1987-1988, fornirà Arrows e Ligier) spinge — dal 1982 al 1988 — Brabham (modelli BT50, BT52, BT52B, BT53, BT54, BT55, BT56), ATS (modelli D6, D7), Arrows (modelli A7, A8, A9, A10, A10B), Benetton (modello B186) e Ligier (modelli JS29B e JS29C). Questo motore conquisterà 9 vittorie, 15 pole-position, 24 podi complessivi ed 1 titolo Mondiale Piloti con Nelson Piquet (1983).
Nel 1985, un altro 4 cilindri in linea Turbo di 1500cc fa la propria comparsa in Formula 1: si tratta dello Zakspeed 1500/4. La azienda fondata da Erich Zakowski realizza in proprio telaio e motore. La bella Zakspeed 841 è azionata dal 4 cilindri Zakspeed 1500/4. Interamente realizzato in alluminio, presenta misure di alesaggio e corsa pari a 90,4 mm x 58,2 mm; il diametro delle valvole di aspirazione è di 34 mm, quello delle valvole di scarico di 31 mm. Il rapporto di compressione si attesta attorno a 7,5:1-8,0:1 (valori simili al BMW M12/13), il regime massimo di rotazione attorno agli 11,500 giri/minuto.
Parimenti all’Hart 415T e al BMW M12/13, anche lo Zakspeed 1500/4 è sovralimentato mediante un singolo Turbo, KKK o Garrett. Il motore tedesco palesa prestazioni ragguardevoli. Nel 1985, a fine stagione, si parla di oltre 820 CV a circa 3,5 bar in configurazione gara ed oltre 900 CV a 3,8 bar in configurazione qualifica. Nel 1987, anche in gara il 1500/4 è talvolta tarato a 4 bar: la potenza sale sino ad oltre 920-930 CV. In qualifica, invece, si toccano i 1000 CV nel 1986: la pressione di sovralimentazione si attesta attorno a 4,5 bar. Nel 1988, con la pressione massima di sovralimentazione ridotta (per Regolamento) a 2,5 bar, la potenza scende a circa 650 CV.
Lo Zakspeed 1500/4 colleziona — dal 1985 al 1988 — 51 GP effettivi e 24 non qualificazioni, totalizzando solo 2 punti iridati, frutto del 5° posto agguantato da Martin Brundle in occasione del GP di San Marino 1987. Le vetture che va a spingere sono le Zakspeed 841, 861, 871 e 881.
Il ritorno del Turbo (ibrido) in F1 ha coinciso con regolamenti tecnici assai restrittivi, i quali prescrivono solo ed esclusivamente la realizzazione di V6 di 90° di 1600cc. 4 cilindri Turbo, tuttavia, sopravvivono in altre realtà motoristiche, ad iniziare dall’Endurance.
Nel 2014, la Porsche sconvolge il panorama motoristico facendo debuttare nel World Endurance Championship la Porsche 919 Hybrid di classe LMP1. Attiva dal 2014 al 2017 e successivamente impiegata — profondamente modificata — in “record show” sui circuiti di Spa-Francorchamps e Nürburgring, la vettura di Weissach vince tutto ciò che poteva vincere: titoli Piloti, Marche e ben tre 24 Ore di Le Mans consecutive (2015, 2016, 2017).
Cuore della 919 Hybrid è il motore: si tratta di un 4 cilindri in V di 90° di 2000cc, alimentato da un singolo Turbo Garrett. A questa unità endotermica è abbinato un sistema ERS, composto da un classico MGU-K elettrico che agisce sulle ruote anteriori (4WD non permanente) e da un GU-H azionato dai gas di scarico.
La potenza, ovviamente, è assai inferiore rispetto ai 4 cilindri Turbo Anni ’80 di F1: si parla di potenze massime dell’ordine dei 500-550 CV a 9000 giri/minuto. Valori, invero, che ben si sposano ad una vettura Endurance e ai regolamenti in fatto di consumi.
Una vettura — la Porsche 919 Hybrid LMP1 — capace di incarnare appieno la più avanzata tecnologia motoristica.
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Attualmente, non c’è spazio in F1 per i 4 cilindri Turbo. Chissà se, secondo corsi e ricorsi storici, questi interessanti e compatti motori potranno tornare alla ribalta.