Il prossimo 18 settembre la Formula 1 è in scena a Singapore: 950° GP della storia della categoria, il 9° della ancora breve storia motoristica della città-Stato asiatica. Sarà la prima tappa di un mini-tour, particolarmente probante per team, vetture e piloti, a zonzo per l’Asia: Singapore, appunto, quindi Malesia (2 ottobre) e Giappone (9 ottobre). Il calendario di Formula 1 2016 prevede ben sei Grand Prix asiatici: Bahrain (Sakhir), Cina (Shanghai), Singapore, Malesia (Sepang, Kuala Lumpur), Giappone (Suzuka), Adu Dhabi (Yas Marina).
Questa abbondanza, sconosciuta e inimmaginabile sino a qualche anno fa, testimonia quanto il Continente asiatico conti e voglia contare sempre più nell’economia, finanziaria e sportiva, della Formula 1.
Dal 1950 al 1952, il neonato Campionato Mondiale di Formula 1 è un affare prettamente europeo; solo la presenza della “aliena” 500 Miglia di Indianapolis rende “mondiale” e vivacizza un calendario mono-continentale. Nel 1953 è la volta dell’Argentina: anche l’America del Sud entra nel giro buono. L’Africa fa capolino nel 1958: si corre sul tracciato di Ain-Diab, in Marocco. Ma il GP marocchino sarà un fuoco di paglia. Il calendario di Formula 1, pertanto, dal 1959 al 1962, contempla solo ed esclusivamente corse in Europa e in America (USA e Argentina). Nel 1962, l’Africa fa il proprio ritorno: dal profondo Nord al profondo Sud, circuito di East London, Sud Africa. La F1 diventa sempre più globale: nel 1963 è la volta del Messico, nel 1967 si va in Canada, nel 1974 debutta il Brasile. Ma di Gran Premi in Asia nemmeno l’ombra.
Finalmente, nel 1976, l’incantesimo è spezzato. Il 24 ottobre 1976 si disputa il XII Japanese Grand Prix, il primo disputatosi all’interno del calendario mondiale di Formula 1. Il circuito del Fuji è il teatro dell’ultimo appuntamento della stagione 1976. Grazie al Giappone, Paese tecnologicamente e motoristicamente sempre all’avanguardia, l’Asia abbraccia ufficialmente la Formula 1.
Il biennio nipponico 1976-1977 pare non avere seguito. Nel 1985, con il GP di Australia disputatosi in quel di Adelaide, l’Oceania completa la globalizzazione, inarrestabile, tanto irreversibile quanto positiva.
Dopo una assenza decennale, il Giappone – e quindi l’Asia – torna in Formula 1. E lo fa nel migliore dei modi, soprattutto grazie ad un circuito, Suzuka, ad oggi ancora tra i più belli, completi e ostici al mondo. È il 1 novembre 1987. Nel 1994, viene istituito il GP del Pacifico, esperimento trans-continentale che nasce e muore nell’arco di un biennio. 1994-1995, il circuito Ti-Aïda (Okayama International Circuit, Giappone) è il suggestivo scenario di questo evento caduto nel dimenticatoio. Il Giappone, pertanto, tiene alti i colori dell’Asia, ospitando ben due GP (al fianco del GP del Pacifico, sussiste il GP del Giappone, a Suzuka).
Il Paese del Sol Levante, dunque, grazie ai GP del Giappone stesso e del Pacifico, ha rappresentato per molti anni l’unico baluardo asiatico nel calendario mondiale di Formula 1. Il 1999 costituisce, in questo senso, una piccola, grande rivoluzione. Il 17 ottobre di quell’anno, infatti, si disputa sul tracciato di Kuala Lumpur (Sepang) il I Malaysian Grand Prix. Dopo il Motomondiale (presente in Malesia sin dal 1991), arriva la Formula 1: il Paese del Sud-Est asiatico recita sempre più il ruolo di moderna culla asiatica del motorismo sportivo.
4 aprile e 26 settembre 2004. Due date entrate di diritto – volenti o nolenti – nella storia della Formula 1. Il 4 aprile, infatti, di disputa il I Bahrain Grand Prix, sull’asettico tracciato di Sakhir. Il peso politico ed economico dei petrodollari e la brama di denaro del circus della F1 rendono possibile l’organizzazione di un GP in un Paese a corto di tradizione motoristica, in cui la maggioranza del pubblico presente sugli spalti è di origine occidentale. Diverso il caso cinese. Il GP di Cina, oltre a calamitare una ottima presenza di pubblico locale, costituisce, oggigiorno, un inevitabile appuntamento. Una economia in continua espansione, un mercato dell’auto tra i più importanti e fiorenti al mondo incarnano i principali fattori alla base di tale appuntamento mondiale. Purtroppo il circuito di Shanghai, un classico esempio di “freddezza tilkiana” (come Sepang e molti altri tracciati firmati dall’architetto tedesco Hermann Tilke), non rende giustizia a quella che è divenuta, ormai da dodici anni, una tappa fissa e importante del calendario di Formula 1.
Tra la fine degli Anni ’90 e i primi Anni 2000, appare evidente la volontà espansionistica perseguita e attuata dalla Formula 1 e dal motorismo in generale. In questo senso, la “conquista” dell’Asia costituisce un obiettivo primario: la ricerca di nuovi Paesi, di freschi e rigogliosi capitali e di nuovi territori nei quali “esportare” il motorsport delineano l’altrettanto nuovo corso della Formula 1. Un ritornello ormai ricorrente che condiziona, nel bene e nel male, i calendari e l’organizzazione stessa dei campionati.
Nel 2005, debutta la Turchia. Il Paese trans-continentale (un po’ Europa, un po’ Asia), costituisce ad oggi uno dei più grandi fallimenti della moderna gestione del motorsport. All’iniziale boom dei primi anni, fa seguito una repentina parabola discendente. Il 21 agosto 2005, il tracciato di Istanbul Park ospita la prima edizione del Turkish Grand Prix. Ma l’8 maggio 2011, tuttavia, va in scena la settima e, ad oggi, ultima edizione del GP della Turchia. Senza rimpianti e nostalgia.
Fuori la Turchia, dentro Singapore. L’Asia, approfittando di una Europa sì tradizionalmente appassionata ma sempre più alla canna del gas e quasi bistrattata dagli stessi vertici organizzativi della Formula 1, propone e ripropone mete, eventi e circuiti. I denari, il solito cittadino – smaccatamente sontuoso ma senza anima – ideato da Tilke e i “modaioli” GP in notturna spalancano le porte alla città-Stato asiatica: il 28 settembre 2008, Singapore si svela al mondo illuminata dalle abbaglianti luci dei riflettori.
Dopo gli accecanti fotoni di Singapore, ecco lo sfarzo senza freni di Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti. I petrodollari chiamano, la Formula 1 risponde presente. Il tracciato di Yas Marina, ancora concepito da Tilke, non brilla in quanto a originalità né a fascino. Ma poco importa, il mercato asiatico chiama, la Formula 1 risponde sull’attenti. Fatto è che dal 1 novembre 2009, il GP di Abu Dhabi si erge ad appuntamento portante del calendario di Formula 1: nelle stagioni 2009, 2010, 2014, 2015 ha recitato il ruolo di ultima, sovente attesa gara in calendario, ruolo che gli spetterà anche in questo 2016.
Asia, Asia e ancora Asia. 24 ottobre 2010: la Corea del Sud timbra il cartellino, ospitando il I Korean Grand Prix. Il circuito è quello di Yeongam, progettato, tanto per non sbagliare, da Tilke. Il flop è servito. Ma il flop è, al contempo, inatteso. In pochi si aspettavano disorganizzazione a tutti i livelli, un circuito sgangherato ed una cronica mancanza di pubblico. Il 6 ottobre 2013 si gira l’ultimo atto del GP di Corea: quarta edizione e festa finita. Senza rimpianti e nostalgia. Corea del Sud: quando un Paese dalla fiorente e vivace industria automobilistica, ma carente sotto il profilo organizzativo (e tra i più corrotti al mondo…), fa clamorosamente fiasco.
Finisce qui? Figuriamoci. Con la Force India in crescita e con i capitali indiani all’orizzonte, vuoi che non si organizzi un bel GP in terra indiana, sognato, bramato e in discussione da anni? Eccolo servito. 30 ottobre 2011, sul tracciato di New Delhi (Buddh International Circuit) va in onda la prima edizione del GP d’India. Ma tra intralci e impacci organizzativi, il GP d’India – che pure è stato un successo di pubblico – deve dire addio alla Formula 1 nell’arco di pochi anni. Il 27 ottobre 2013, dopo appena tre edizioni, l’India organizza il suo terzo ed ultimo Grand Prix di F1 della sua storia. Un peccato: tra le nuove mete proposte dalla Formula 1, l’India aveva riscosso un ottimo successo. Da riprovare.
I Gran Premi di Russia (prima edizione in data 12 ottobre 2014, circuito di Sochi) e Baku (Azerbaigian, GP d’Europa, prima edizione in data 19 giugno 2016) sono da collocare – parimenti a quanto accadeva per la Turchia – in quella zona grigia: Europa, Asia, Eurasia (non quella di fallaciana memoria)?
Per la F1, come per lo sport in generale, sono dettagli trascurabili. Nel dubbio, tutti in Asia (per il GP d’Italia, ovviamente…).
Scritto da: Paolo Pellegrini