Nella lunga storia della Formula 1, in mezzo a tante sfide esaltanti, ci sono stati anche periodi in cui la superiorità di una monoposto era talmente elevata da non concedere speranze agli avversari. Campionati interi, talvolta consecutivi, caratterizzati dal dominio assoluto e dall’estrema competitività di un team o di un pilota.
Tra questi momenti ci fu, sicuramente, il 1992. Venticinque anni fa infatti, la Williams FW14B pilotata da Nigel Mansell e Riccardo Patrese dominò quella stagione, aggiudicandosi il titolo piloti e costruttori grazie all’utilizzo di soluzioni tecnologiche all’avanguardia.
Oggi, a più di due decenni da quel successo schiacciante, l’allora Direttore Tecnico della Williams Patrick Head (storico co-fondatore dello stesso team inglese) ha voluto spiegare alcuni segreti che resero quella monoposto quasi imbattibile in un’intervista ad autosport.com.
Cenni storici
Prima ancora però, è doveroso ricordare quanto la Williams riuscì a dominare in quel 1992 a senso unico. Dopo esser stato l’unico team in grado di mettere in difficoltà la McLaren di Ayrton Senna nel 1991 (campioni di quell’anno), il team di Grove sviluppò la FW14B, con la quale lanciò il guanto di sfida ai rivali campioni del mondo in carica. I risultati furono a dir poco travolgenti: grazie all’esperienza di Nigel Mansell e di Riccardo Patrese (entrambi prossimi al ritiro dalla F1), la Williams ottenne ben 10 vittorie su 16 gare in calendario (9 con Mansell ed una con Patrese). Grazie a questi numeri, Mansell divenne campione del mondo (per la prima ed unica volta in carriera) addirittura con 5 gare di anticipo. L’impresa del “Leone d’Inghilterra” stabilì un nuovo record in F1, che rimase tale per dieci anni. Soltanto nel 2002 infatti, Michael Schumacher riuscì a far meglio con la Ferrari.
Inoltre, con 14 pole position su 16, Mansell siglò anche il record del maggior numero di pole conquistate in un anno. Anche questo primato resistette per molto tempo, fino a quando Sebastian Vettel riuscì a far meglio dell’inglese nel 2011, assicurandosi 15 pole con la Red Bull. Ad ogni modo, grazie ad un’altra pole di Patrese, la Williams non ottenne tutte le pole del campionato per un soffio.
Mexico City, Mexico.
20-22 March 1992.
Nigel Mansell, 1st position gives Riccardo Patrese 2nd position (both Williams Renault) a showering of champagne on the podium. Behind is Michael Schumacher (Benetton Ford) 3rd position.
Ref-92 MEX 06.
World Copyright – LAT Photographic
I segreti di Patrick Head
Pur essendo passati venticinque anni da allora, il successo della Williams passò alla storia come uno dei più dominanti di sempre. Ma quali furono le soluzioni che permisero a Mansell di non avere rivali nella corsa al titolo?
La risposta, oggi, può darla un uomo solo: Patrick Head, che nel 1992 occupava la carica di Direttore Tecnico. Non dimentichiamoci, inoltre, che nel 1992 la Williams poteva vantare la presenza, all’interno del team, di una delle menti più geniali mai viste nella storia di questo sport: l’attuale progettista della Red Bull Adrian Newey.
Il primo elemento fondamentale citato da Head è il ricorso al cambio semi-automatico: “Lo utilizzammo per la prima volta nel 1991 -spiega il socio di Frank Williams ai microfoni di autosport.com– ma riscontrammo problemi che ci costarono molti punti. Ma una volta che risolvemmo questi inconvenienti, esso si rivelò un enorme vantaggio per noi. Innanzitutto consentiva ai piloti di cambiare le marce quattro o cinque volte più rapidamente rispetto ai nostri avversari, e si rivelò utilissimo anche per regolare i giri corretti del motore”.
La presenza di Newey nello staff tecnico fu, inoltre, di fondamentale importanza per i miglioramenti apportati nella geometria della vettura. Sempre secondo Head, “la grande differenza tra il 1991 ed il 1992 fu l’introduzione delle sospensioni attive. La Williams studiava questa soluzione dal 1985, grazie alla collaborazione con AP. Inizialmente le sospensioni vennero applicate solo per le auto stradali, ma la vera svolta ci fu quanto la stessa AP, nostra fornitrice di freni, ci contattò per poter sviluppare questa tecnologia anche per la F1. In un primo momento tutto era limitato alla pura meccanica, ma successivamente lavorammo per controllare le sospensioni anche elettronicamente. Quando riuscimmo a sviluppare le sospensioni attive digitali, il sistema di controllo elettronico divenne sempre più sofisticato, e ciò ci consentiva di apportare regolazioni ogni volta che il pilota si lamentava di problemi di sottosterzo o sovrasterzo. Bastavano piccole modifiche per risolvere il problema.
Inoltre, le sospensioni erano perfettamente integrate nella geometria della vettura. Aerodinamicamente, Newey creò un disegno eccezionale. Ispirata alle monoposto da lui progettate quando lavorava in Leyton House, sulla FW14B ci furono pochissimi interventi di regolazioni aerodinamiche, tanto che non fu quasi mai toccata. Nel 2011, per far capire la differenza con la monoposto del ’92, arrivammo ad utilizzare ben 12 modelli di configurazione dell’alettone anteriore in un anno”.
Ma non solo. Su quella potentissima e tecnologica Williams, ci fu anche un altro sistema che venne sviluppato con successo sulla monoposto inglese: l’uso del controllo di trazione.
Secondo Head infatti, “il controllo di trazione che usammo in quell’anno era molto simile a quelli che sarebbero comparsi dieci anni dopo, solo che fu molto meno sofisticato. Quando lo utilizzammo per la prima volta, il nostro obiettivo era quello di incrementare un software che poteva consentirci un vantaggio in pista in condizioni di asciutto. Il beneficio fu minimo, ma il vero potenziale della trazione si notò soprattutto con pista bagnata. Grazie al controllo di trazione elettronico, la gestione della potenza del motore era molto più precisa, affidabile e veloce di quanto potesse fare il pilota con le sue sole capacità di guida”.

2nd placed Nigel Mansell celebrates victory in the race with winner Ayrton Senna. Portrait. Podium.
Photo: LAT Photographic/Williams F1. Ref: 1992williams05
Tutte queste rivoluzioni, che di lì a poco stravolsero la tecnologia della F1, furono essenziali per la Williams del 1992, che consentì ai suoi piloti di migliorare anche il loro stile di guida. “Le sospensioni attive -spiega Patrick Head- furono talmente innovative che anche le sensazioni di guida dei piloti cambiarono totalmente. All’ingresso delle curve, vi era un piccolissimo margine temporale in cui la vettura non poteva garantire grip. Ma una volta superati quei centesimi di secondo, la macchina tornava perfettamente stabile in curva. Mansell riuscì ad adattarsi subito a questo stile, mentre Patrese dovette lavorare di più per aumentare il feeling con la monoposto”.
Infine, non poteva mancare un segreto legato al “cuore” di ogni monoposto di F1 che si rispetti: il motore.
“La Renault – conclude Head nel suo racconto di quel magico 1992 – ci diede un motore molto più performante della Honda, che all’epoca forniva i nostri rivali della McLaren. I giapponesi potevano contare su una potenza molto elevata, forse ancor più potente del nostro Renault. Il problema, per loro, fu che dovettero compensare questa potenza con un peso eccessivo del motore Honda, mentre la Renault aveva progettato un motore molto più leggero. Era un motore davvero eccezionale, uno dei migliori mai visti. Riusciva a combinare potenza, peso, consumo di benzina e molto altro in modo ottimale. Era estremamente affidabile”.
Kyalami, South Africa.
28/2-1/3 1992.
Nigel Mansell, 1st position with teammate Riccardo Patrese, 2nd position (both Williams Renault) on the podium.
Ref-92 SA 06.
World Copyright – LAT Photographic