Quanti progressi ha fatto la sicurezza in Formula 1?
E’ una frase che sentiamo ripetere spesso ogni volta che un pilota esce illeso da un violento incidente. E automaticamente ci chiediamo: ma cosa sarebbe successo se fosse accaduto 50 anni fa? La risposta, nella maggior parte, ha del tetro e ci fa venire i brividi anche se, vista la situazione da un’altra prospettiva, si possono apprezzare tutte le innovazioni tecnologiche in materia di protezioni a bordo pista che, molto spesso, hanno intrapreso il proprio cammino anche più velocemente rispetto alle stesse auto da competizione.
Un video molto interessante ci illustra una breve ma dettagliata storia dei “salvavita” del motorsport ricordando, in primis, le enormi accelerazioni e decelerazioni che le auto e i piloti subiscono sia in gara sia, nel caso più eclatante, in un incidente. Questo non fa altro che sottolineare l’importanza dell’assorbimento dell’urto per non avere una decelerazione troppo brusca che potrebbe portare a, più o meno gravi, danni fisici, ovviamente in base all’entità dell’impatto subito dal pilota.
BARRIERE IN FORMULA 1
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BARRIERE IN FORMULA 1: LA PAGLIA
Quanti eroi degli anni 50 e dei primi anni 60 hanno perso la vita; ormai ci si era quasi abituati a quel rituale funerario che, quasi ogni domenica, andava in scena: questo, soprattutto, per la mancanza di barriere protettive a bordo pista e la presenza, in compenso, di balle di fieno altamente infiammabili e che riuscivano a far perdere pochissima velocità alle auto, con un alto rischio di ribaltamenti. Situazione, questa, molto pericolosa in quanto i piloti di quegli anni non indossavano cinture di sicurezza e non erano in alcun modo ancorati all’auto. Ricordiamo il caso di Lorenzo Bandini che nel GP di Monaco 1967, colpì un palo di ancoraggio navale alla chicane del porto e rimase intrappolato nelle fiamme della sua Ferrari, alimentate dal fieno che avrebbe dovuto proteggere il pilota. Invece, tristemente, diventò l’arma del delitto. Le balle di fieno furono accantonate dal 1970.
A sostituirle furono delle recinzioni poste in diverse file una dopo l’altra che servivano a rallentare l’uscita di strada di un’auto, un metodo economico e piuttosto efficace, almeno inizialmente: la velocità della macchina veniva assorbita dalle recinzioni che si deformavano, andando lentamente ad annullare la sua energia cinetica.
BARRIERE IN FORMULA 1: LE RETI
Questo metodo, però, ha creato nuovi problemi col passare del tempo, visto che le recinzioni si deformavano talmente tanto che si accartocciavano letteralmente sull’auto, al punto che rimaneva difficile intervenire sul pilota, quasi intrappolato, in caso di emergenza. Ne sa qualcosa Carlos Reutemann che, nel Gran Premio del Sudafrica 1981, ha rischiato di essere strangolato da quelle barriere che, ormai, stavano diventando troppo pericolose in relazione all’aumento delle prestazioni delle auto. Come le balle di fieno, anche questa soluzione fu abbandonata.
L’analisi per l’innovazione delle tecnologie nel campo delle protezioni andava avanti, tra gli anni 80 e 90, studiando anche due tipi di impatto che richiedono, ovviamente, due diversi angolazioni per le protezioni, ossia perpendicolare e parallelo. Nel primo caso, il muro è estremamente efficace per assorbire impatti perpendicolari attraverso l’attrito; praticamente lo stesso discorso con i famosi guardrail ben presenti a Montecarlo che possiedono una gran forza nell’assorbire un urto, con poca deformazione, e che riescono a direzionare l’auto lungo tutta la lunghezza della protezione, portandola a terminare la sua corsa senza ritornare pericolosamente sul tracciato.
BARRIERE IN FORMULA 1: LE GOMME
Il metodo più utilizzato nella maggior parte delle corse è, sicuramente, il muro di gomme che, col passare del tempo, ha subito diversi cambiamenti: ora, gli pneumatici che formano il muro, sono spesso tenuti stretti tra loro per avere una maggiore resistenza all’impatto e, soprattutto, per evitare che, al momento dell’urto, la maggior parte di essi non volino via facendone rimanere solo pochi ad assorbire l’incidente.
Ricordiamo, a questo proposito, l’incidente di Luciano Burti che, a Spa nel 2001, finì la corsa della sua Prost contro la barriera esterna nonostante la presenza di ben quattro file di gomme. Inoltre, il muro presenta una sottile barriera protettiva esterna per evitare angoli di impatto non omogenei che potrebbero mettere a rischio l’incolumità del pilota; ovviamente, nelle curve ad alta velocità, il numero di file di gomme presenti a bordo pista è maggiore per avere una più ampia capacità di assorbimento.
BARRIERE IN FORMULA 1: TECPRO
L’ultima tecnologia in questo campo è rappresentata dalle barriere Tecpro che stanno prendendo sempre più piede sui circuiti del mondiale di Formula Uno, nonostante un costo più elevato: queste barriere sono formate da un blocco dedicato all’assorbimento dell’impatto e da un altro di rinforzo che vede, al suo interno, una lastra di metallo per prevenire che le auto penetrino troppo a fondo. Il vero vantaggio di questa nuova tecnologia sta nell’altissimo grado di adattabilità di queste barriere che, con diverse opportunità di posizionamento, possono agire perfettamente sia nelle curve lente che in quelle veloci. Nonostante tutto, anche le Tecpro hanno evidenziato dei problemi come quello di alzare il muso dell’auto in caso di impatto frontale o, come accaduto a Pastor Maldonado nel 2013 a Montecarlo, quello di invadere addirittura la pista. Insomma, come per le macchine di Formula Uno, per i regolamenti e quant’altro, anche per la sicurezza c’è sempre margine di miglioramento.