Dallara è, probabilmente, tra i costruttori più versatili e completi che la storia delle competizioni automobilistiche abbia mai conosciuto. Fondato nel 1972 a Varano de’ Melegari (Parma) grazie alla iniziativa di Gian Paolo Dallara, l’omonimo marchio ha attraversato le più disparate epoche, abbracciato le più svariate serie e preso parte ai più prestigiosi campionati al livello nazionale ed internazionale. Dalle vetture monoposto (Formula 3, F3000, GP2, GP3, Formula 2, IRL-IndyCar, World Series by Renault, ecc.) all’Endurance, quest’ultima specialità affrontata anche attraverso rinomate e vincenti collaborazioni con Lancia, Ferrari, Toyota, Audi. Dall’Europa all’Asia, passando per gli Stati Uniti d’America, Dallara è, da decenni, sinonimo di sano artigianato, competitività e competenza.
In occasione del GP del Brasile 1988 – disputato sul circuito del Jacarepagua, gara inaugurale della stagione – fa il proprio debutto la prima Dallara in Formula 1. Si tratta della 3087, monoposto di Formula 3000 adattata alla buona ai regolamenti tecnici FIA Formula 1. Il motore, infatti, è ancora il Cosworth DFV V8 di 3000cc aspirato – privo di limitatore di giri – ereditato dalla classe cadetta: 500cc in meno, dunque, rispetto alle più aggiornate unità Cosworth concepite espressamente per la F1 (DFZ e DFR). La vettura, affidata ad Alex Caffi, è gestita dalla BMS Scuderia Italia (BMS è l’acronimo di Brixia Motor Sport), compagine bresciana fondata da Giuseppe Lucchini. Alex Caffi è chiamato ad una impresa ardua: riuscire a passare la tagliola delle prequalifiche. Il suo 1’46”442 alla media di 170,155 km/h, a ben 18,346 secondi di distacco da quella che sarà la pole-position di Ayrton Senna (McLaren Mp4/4-Honda, 1’28″096, media di 205,589 km/h) non è però sufficiente. Il pilota italiano, infatti, è costretto ad ingoiare distacchi consistenti anche da coloro i quali non risulteranno qualificati alla corsa. L’esordio in Formula 1 ha il sapore di una preventivata doccia fredda. Tanto per rendere un’idea: Bernd Schneider (Zakspeed 881 Turbo) è il più lento dei non qualificati: 1’38″614 alla media di 183,662 km/h. E dire che, oggi, molti si scandalizzano (a torto) per 2-3 secondi di differenza tra i primi e gli ultimi… pur sempre qualificati!
Tutto cambia con l’introduzione della bellissima Dallara 188, una vera, compiuta monoposto di Formula 1. Progettata da Sergio Rinland, è spinta dal Cosworth DFZ di 3500cc aspirato. Caffi, con l’eccezione del GP del Canada, riesce sempre a qualificare la sua rossa, slanciata Dallara #36; il 7° posto al GP del Portogallo (Estoril) – ai piedi della zona punti – corona una prima stagione in continua, inesorabile crescita.
Le stagioni successive vedono le Dallara gestite dalla BMS Scuderia Italia oscillare tra le vette e i bassifondi delle classifiche. Le monoposto si rivelano tecnicamente interessanti (soprattutto dal punto di vista telaistico ed aerodinamico, aree di progetto tradizionalmente e particolarmente congeniali al marchio parmense), ma scarsa affidabilità, motori spesso non all’altezza ed una concorrenza preparata e difficile da battere non consentono alle rosse vetture italiane di abitare stabilmente la zona punti.
Nel 1989, Alex Caffi e Andrea De Cesaris portano la Dallara 189-Cosworth DFR gommata Pirelli in alto: Caffi è 4° a Monaco e 6° in Canada, De Cesaris addirittura 3° in quel di Montréal. Dopo un 1990 avaro di soddisfazioni con la bella ma “rognosa” 190-Cosworth DFR affidata a Gianni Morbidelli, Andrea De Cesaris ed Emanuele Pirro (ben 16 ritiri in gara sono imputabili a noie e rotture meccaniche), nel 1991 la Dallara ritorna a marcare punti iridati: Grazie alla sincera 191, progettata da Nigel Couperthwaite e spinta dal V10 Judd GV (aspirato di 3500cc, come da regolamento), JJ Lehto ed Emanuele Pirro possono concedersi piazzamenti entro i primi dieci ed exploit di tutto rispetto: l’italiano è 6° a Monaco, il finnico è sul podio (3°) a Imola.
Nel 1992, la Dallara si accorda con la Ferrari circa la fornitura del propulsore: nasce la 192, spinta dal 12 cilindri in V di 65° 037 realizzato a Maranello ed ereditato dalla stagione 1991. La monoposto, che si avvale ormai della impostazione a muso alto adottata sin dal 1990 dalla Tyrrell, è caratterizzata da un’ala anteriore che giace in posizione particolarmente rialzata rispetto al suolo. Tutto sembra apparecchiato per una stagione alquanto promettente. La 192 si dimostra affidabile – anche se di difficile messa a punto al livello ciclistico ed aerodinamico – ma, nella sostanza, la stagione non frutta i risultati sperati, benché in dodici occasioni la Dallara 192 figuri nei primi dieci classificati. Solo due, infatti, i punti totalizzati, merito degli altrettanti sesti posti acciuffati da Pierluigi Martini in occasione dei GP di Spagna e San Marino.
Il GP d’Australia 1992 (Adelaide, 8 novembre 1992) pone fine alla prima parte di carriera della Dallara in Formula 1, un arco temporale in cui il telaista parmense riesce a totalizzare 78 GP, 11 mancate qualificazioni, 2 podi e 15 punti complessivi. Nel 1993, infatti, Dallara e BMS Scuderia Italia si dividono: la squadra bresciana abbandona le monoposto firmate Dallara per accordarsi con la Lola, mantenendo, tuttavia, i motori Ferrari: la Lola T93/30 affidata a Michele Alboreto e Luca Badoer si rivelerà non competitiva. Il team lascerà la F1 prima dei GP del Giappone e Australia.
Il ritorno del costruttore italiano si ha nel 2010. Al contrario dell’impegno tra 1988 ed il 1992, le nuove monoposto realizzate dalla Dallara recano altri nomi di battesimo: Hispania Racing Team, Haas F1 Team. Storia di questi anni, storia di questi giorni.
Al contrario della positiva esperienza delle vetture Haas-Ferrari (dalla VF-16 del 2016 alla attuale VF-18, passando per la VF-17 del 2017, soprannominate “ferrarine”, data la spiccata somiglianza con le imparentate vetture di Maranello), negativa e di breve durata è stata la collaborazione, datata 2010, con la scuderia spagnola. La HRT F110-Cosworth CA 2010 (siamo nell’era dei V8 di 90° aspirati di 2400cc), affidata a Karun Chandhok, Bruno Senna, Christian Klien e Sakon Yamamoto, si dimostra vettura pessima, mal concepita e realizzata. Tra la scuderia ed il costruttore italiano nascono ben presto dissapori di carattere economico e tecnico: la collaborazione si interrompe a stagione già iniziata.
Il presente della Dallara si chiama Haas, team impegnato in F1 dal 2016 grazie alla intraprendenza di Gene Haas. Cosa riserverà il futuro: ancora vetture Dallara “sotto mentite spoglie” – ossia una Dallara al servizio di altre scuderie pronte ad apporre i propri nomi sui telai realizzati a Varano de’ Melegari – o, come accade già e nuovamente in Endurance (classi LMP1 e LMP2), vetture esplicitamente battezzate Dallara, sulle quali campeggia la storica, gialla scritta?
Un nome autentico di un autentico costruttore che non stonerebbe affatto nella odierna Formula 1.
Scritto da: Paolo Pellegrini