È, senza dubbio, una delle vetture Formula 1 più caratteristiche, innovative, originali e nostalgiche degli ultimi 20 anni di storia di automobilismo sportivo. Stiamo parlando della Williams FW26 “tricheco”, “Walrus nose”, usando la terminologia inglese.
Corre l’anno 2004. La stagione agonistica vede contrapporsi dieci scuderie. La Ferrari schiera la straripante F2004, la BAR sfodera la ottima 006-Honda, la McLaren le non entusiasmanti Mp4/19 e Mp4/19B motorizzate Mercedes, la Renault si affida alla sincera R24. La Jaguar schiera la R5-Cosworth, la Jordan si affida alla EJ14-Cosworth, la Minardi è ai blocchi di partenza con la PS04B-Cosworth, Sauber e Toyota propongono rispettivamente la C23-Petronas (Ferrari) e le TF104 e TF104B.
La Williams schiera la nuova FW26, spinta dall’ultima versione del 10 cilindri in V di 90° realizzato dalla BMW in collaborazione con la Oral Engineering: il BMW P84, erogante potenze superiori ai 900 CV ad oltre 19,000 giri/minuto (in occasione del GP del Canada del 13 giugno 2004, Montréal, si parla di potenze dell’ordine dei 935 CV). Il leggero propulsore tedesco è nato sotto la direzione tecnica di Heinz Paschen, responsabile del settore motori F1 di BMW. La nuova vettura, iscritta sotto le insegne del BMW Williams F1 Team, è curata da Patrick Head (Direttore Tecnico), Gavin Fisher (Chief Designer) e Antonia Terzi (Chief Aerodynamicist). È l’ingegnere italiana (nata a Mirandola, Modena, il 29 aprile 1971) a catalizzare, inevitabilmente, l’attenzione dei media. Dapprima in Ferrari, quindi in Williams dal 2002.
La Williams FW26 si discosta profondamente dalla precedente FW25, vettura che aveva ben figurato nel corso della stagione agonistica 2003 (4 pole-position ed altrettante vittorie; 2 GP vinti da Juan-Pablo Montoya e 2 da Ralf Schumacher). Se fiancate, retrotreno, appendici aerodinamiche posteriori (Flip-Ups) e ciminiere preposte allo smaltimento dell’aria calda proveniente dai tunnel radiatori appaiono in linea con i canoni tecnici del periodo e con quanto proposto dagli altri costruttori, tutta l’area anteriore mostra evidenti guizzi di originalità e desiderio di sperimentare soluzioni tanto ardite quanto innovative.
Il muso della Williams FW26 è, ora, largo, corto e abbastanza piatto, contrariamente, pertanto, alla impostazione generale, che prevede musi piuttosto sottili che scendono sinuosi verso il basso. A sorreggere l’alettone anteriore ci pensano due vistosi prolungamenti divergenti ricavati ai lati del muso stesso e che, appunto, si protendono in avanti e in basso verso l’ala anteriore. Sono proprio siffatti prolungamenti a conferire alla Williams FW26 le particolari fattezze a “tricheco”. Con le dovute differenze, il muso della FW26 ricorda quello della Brabham/Pat Patrick-Walt Michner-Offy, vettura Indy risalente al 1972.
Questa singolare configurazione aerodinamica della zona frontale palesa una evidente funzione: convogliare, sotto il tozzo muso, quanta più aria possibile in direzione del fondo (aria che, poi, azionerà il profilo estrattore posteriore, elemento cardine affinché venga prodotto effetto suolo, ossia deportanza) e delle fiancate.
Ma non è tutto. Anche la sospensione anteriore, infatti, è oggetto di radicali cambiamenti rispetto alla FW25 del 2003. La FW25 presentava, a tal proposito, una più classica chiglia centrale quale punto di ancoraggio dei bracci inferiori della sospensione anteriore. La FW26, invece, presenta una doppia chiglia. I bracci più avanzati del triangolo inferiore, infatti, sono ancorati a due appositi sostegni ricavati nella parte bassa e più avanzata della scocca. Questi lunghi sostegni sono disposti a diedro negativo o, più volgarmente, a V rovesciata. Questa marcata divaricazione verso l’esterno degli attacchi dei bracci più avanzati del triangolo inferiore della sospensione disegna, pertanto, una sorta di tunnel centrale attraverso il quale l’aria può passare più liberamente sotto il muso. Si tratta, invero, di una soluzione non inedita. La doppia chiglia, infatti, appare in F1 sin dai primi Anni 2000. La Sauber C19 del 2000 presentava già una doppia chiglia di ancoraggio verticale (di dimensioni più generose sulla successiva C20 del 2001); nel 2002 era l’Arrows A23 a sfoderare una interessante e bella vettura provvista di doppia chiglia di ancoraggio. Nel 2003, la doppia chiglia prendeva sempre più piede. La Jordan EJ13 anticipava, ma in forma meno esasperata, ciò che farà la Williams un anno più tardi: doppia chiglia di ancoraggio e sostegni — corti — orientati a diedro negativo. Anche la McLaren, in quegli anni, sviluppava vetture a doppia chiglia, compresa la “misteriosa” Mp4/18 del 2003, mai impegnata in gara ma laboratorio di soluzioni poi applicate.
Attorno ed in corrispondenza delle due chiglie a diedro negativo, trovano posto deviatori di flusso finalizzati ad ottimizzare i flussi che lambiscono l’area a precedere il “tea tray”. Particolare è anche il disegno dell’ala anteriore. Il bordo d’attacco del “main plane”, infatti, presenta delle caratteristiche e multiple “ondulazioni” apprezzabili nella vista frontale. Nella vista in pianta, spicca il profilo a freccia caratterizzante la zona centrale dell’ala stessa. Nella vista frontale, invece, le ondulazioni curvilinee — frutto di attenti studi aerodinamici — determinano piccole ma sensibili differenze di altezze da terra (peraltro conformi a quanto prescritto dal Regolamento Tecnico) nonché una apertura alare maggiorata rispetto ad un bordo d’attacco perfettamente rettilineo.
Da segnalare anche le particolari appendici aerodinamiche poste a monte delle fiancate e delle prese d’aria di raffreddamento. Nello specifico, queste appendici trovano posto in corrispondenza del fondo vettura, essendo collocate in basso rispetto alle bocche dei tunnel radiatori. Si tratta di appendici sagomate a lama di accetta o scure. Una soluzione, benché non inedita, molto interessante e che, nel corso degli anni, verrà continuamente sviluppata e rielaborata. Già nel 1998, Benetton B198 (la soluzione verrà riproposta anche sulla successiva B199 del 1999) e Minardi M198 presentavano appendici aerodinamiche applicate inferiormente a monte delle prese d’aria di raffreddamento. Entrambe le variazione sul tema prevedevano vistose appendici (particolarmente generose e tozze quelle della Benetton) solcate da deviatori di flusso, degli autentici “bargeboard” di dimensioni ridotte. Nel 2000, simili appendici a lama sono proposte dalla Jordan, con le sue EJ10 e EJ10B. Sarà ancora la Jordan, con la EJ12 del 2002, a riproporre in forma ulteriormente modificata le appendici alla base delle fiancate. Nel 2003, sono Williams, Jordan e BAR ad installare appendici a lama a monte delle fiancate. La Jordan lo fa mediante l’applicazione di una sorta di prolungamento-appendice del fondo, similmente a quanto fatto nel 2002. Williams (FW25) e BAR (005), invece, seguono una strada diversa: una vera e propria “lama” è applicata in corrispondenza del fondo a monte delle fiancate. La funzione di suddette appendici (dal profilo debitamente studiato) è ottimizzare i flussi che investono le fiancate ed il fondo vettura in corrispondenza delle pance. Nel 2004, oltre alla Williams FW26, le appendici a lama compaiono a bordo di BAR 006, Toyota TF104 e TF104B. Queste ultime due vetture riprendono, ma modificando, quanto già fatto dalla stessa Casa giapponese nel 2003 a bordo della TF103, monoposto a bordo della quale erano state installate due appendici a lama divise da una fenditura.
I test invernali — da prendere sempre con le molle, specie in passato — infondono fiducia nell’ambiente Williams. “Se va bene, siamo tutti rovinati”, afferma Mike Gascoyne, allora Direttore Tecnico del Panasonic Toyota Racing. Sin dai primi Gran Premi, tuttavia, si intuisce come la Williams FW26, sebbene non malvagia, non sia quel fulmine di guerra paventato nei test pre-campionato. Nei primi GP, Juan-Pablo Montoya e Ralf Schumacher ottengono risultati positivi ma lontani dalle aspettative. Il colombiano è 5° in Australia (Melbourne), 2° a Sepang (Malesia), 13° in Bahrain (Sakhir), 3° a Imola, 4° a Monaco, 8° al Nürburgring (GP d’Europa), 5° (ma squalificato per freni irregolari) in Canada (Montréal), 8° in Francia (Magny-Cours). A questi piazzamenti vanno aggiunti il ritiro al GP di Spagna (freni) e la squalifica (proceduta di partenza irregolare) in occasione del GP degli USA (Indianapolis). Ralf Schumacher, invece, è 4° in Australia, 7° a Sakhir e Imola, 6° a Barcellona, 10° a Monaco, 2° (ma squalificato per freni irregolari) in Canada. In Francia, Marc Gene sostituisce un indisponibile Schumacher: lo spagnolo chiude in decima posizione. Risultati non entusiasmanti colti dal pilota titolare tedesco ai quali vanno aggiunti i ritiri in Malesia, Nürburgring e Indianapolis.
I Gran Premi di Gran Bretagna (Silverstone) e Germania (Hockenheim) confermano la scarsa competitività della Williams FW26 “tricheco”, monoposto caratterizzata da un eccellente motore — potente ed affidabile (una sola rottura in gara, in Malesia) — ma da scarse doti aerodinamiche e telaistiche. Montoya è 5° tanto in Gran Bretagna quanto ad Hockenheim; Gene chiude 12° la corsa in terra inglese, mentre Antonio Pizzonia in settima posizione il GP in terra di Germania.
La ardita Williams FW26 “tricheco” non offre i riscontri sperati. La vettura, infatti, appare in imbarazzo tanto sui tracciati veloci quanto su quelli lenti. La pole-position conquistata da Ralf Schumacher in quel di Montréal aveva, per un attimo, illuso il team Williams. Ed ecco che i vertici tecnici e sportivi del team inglese optano per un deciso cambio di rotta. A partire dal GP di Ungheria, dunque, la Williams FW26 “tricheco” lascia il posto ad una versione più convenzionale del modello. Il muso a “tricheco” viene abbandonato, sostituito da un frontale che ricalca molto da vicino quello già adottato sulla valente Williams FW25 del 2003 e che verrà, in seguito, ripreso anche per la Williams FW27 del 2005. Anche in presenza del nuovo muso, però, viene mantenuta la configurazione a doppia chiglia con sostegni a diedro negativo. Rivista anche l’ala anteriore, anch’essa resa più convenzionale e contraddistinta dal tipico “cucchiaio” centrale comune a molte altre vetture concorrenti.
L’introduzione della rinnovata, ma più conservativa e convenzionale, FW26, tuttavia, non muta l’andamento di un campionato globalmente deludente per la Williams. All’Hungaroring, Montoya e Pizzonia chiudono rispettivamente in 4a e 7a posizione, a Spa-Francorchamps sono entrambi costretti al ritiro, a Monza tagliano la bandiera a scacchi rispettivamente in 5a e 7a posizione, risultato che Montoya ripete in Cina. Il finale di stagione è in crescendo. Il rientrante Ralf Schumacher (infortunatosi ad Indianapolis) coglie un ottimo 2° posto a Suzuka, Montoya, invece, trionfa in Brasile (Interlagos), congedando nel miglior modo possibile un campionato altrimenti deficitario.
I conti di fine anno confermano il calo della Williams rispetto ad un soddisfacente 2003. Montoya chiude il Mondiale Piloti in quinta posizione (58 punti), alle spalle di Michael Schumacher (Ferrari, 148), Rubens Barrichello (Ferrari, 114), Jenson Button (BAR, 85), Fernando Alonso (Renault, 59). Ralf Schumacher totalizza 24 punti (9° posto), Pizzonia raccoglie 6 punti (15° posto). Montoya, nel 2003, totalizzava in 16 GP in calendario (saliti a 18 nel 2004) ben 82 punti, chiudendo il Mondiale in terza posizione, ad appena 11 punti di distacco dall’iridato Michael Schumacher. Anche il Mondiale Costruttori vede la Williams perdere terreno rispetto al 2003. 88 punti (4° posto in classifica) contro i 144 totalizzati nel 2003 (2° posto alle spalle della Ferrari, 158).
Come spesso accade in F1 e nell’automobilismo sportivo più in generale, soluzioni ardite e particolarmente originali non sempre coniugano efficienza, funzionalità e competitività. La Williams FW26 costituisce un esempio lampante di monoposto iconica, nostalgica, tanto fuori degli schemi nelle sue fattezze e soluzioni quanto “fallimentare” nelle prestazioni e nelle aspettative.
Sono trascorsi quindici anni dalla presentazione della Williams FW26. Oggi, come allora, il “tricheco” incanta e stupisce.
Scritto da: Paolo Pellegrini