8 maggio 1982 – 8 maggio 2022. Quarant’anni sono passati dal giorno in cui dicemmo addio a Gilles Villeneuve.
Quaranta è un numero pesante, è quattro volte il peso di un decennio, l’unità di misura delle carriere – non della sua, però – e delle storie d’amore più durature, come quella che lo lega ai suoi tifosi, ma che solo questi ultimi,a differenza sua, possono ricordare.
Quaranta è l’età dei bilanci, è il dolce peso di guardare indietro e vedere gli anni che si stanno trasformando in storia; anni che lui non ha mai compiuto, ma una storia, la sua, che per tanti anni ancora racconteremo. Una storia di corse su tre ruote, di ali ribaltate, di cuore e gas.
Quaranta ha l’onere della cifra tonda da un lato e della cifra piena di spigoli e linee dritte dall’altra. Guardando il 40, infatti, è come se si vedessero gli elementi che rendono il carattere di un circuito automobilistico – curve, rettilinei e cambi di direzione – scindersi in due, come per protesta. E’ bello pensare che persino le cifre protestino contro il destino, quando si tratta di Gilles.
Volto bello e pulito diventato emblema di un’epoca nera, nerissima per morti e schianti, a Gilles Villeneuve è toccata la fine più amara, quella che ti coglie nel mezzo, che ti fa franare un ponte sotto ai piedi mentre lo attraversi per raggiungere la tua meta, che ti spezza la matita mentre stai disegnando la tua vita, che ti lascia incompiuto, sospeso, fra tumulto e trionfo, fra talento e realizzazione, fra gara e campionato. E che lascia, oltre al sale delle lacrime, il sapore di tanti “se…” su cui rimuginare.
Quel giorno a Zolder la vicenda di Villeneuve fu spezzata, come la sua Ferrari. Tutti i “se” del mondo non basteranno a colmare l’amarezza di una fine che lo colse mentre si impegnava a diventare un campione, cercando di riparare a modo suo quel che si era rotto qualche tempo prima a Imola, fra lui, la Ferrari e Pironi. Mentre forse realizzava che la Formula Uno non è un paese per brave persone e che la generosità che lo distingueva cozzava brutalmente con l’avidità di quelli che agguantano l’iride. Ma lui era lì per dimostrare il contrario, “Verrà anche il mio momento”, aveva detto a Monza, nel ‘79, scortando il compagno di squadra Scheckter verso la vittoria di gara e campionato.
Mai fidarsi del futuro: è come fidarsi di un “se”, che lascia la tua vita a metà e dietro di te solo monumenti incomprensibili e fiumi di parole.
Quarant’anni sono passati da quel giorno di maggio. Sono cambiate le auto, le squadre, i piloti. Anche la Ferrari è cambiata. L’unica cosa che non è cambiata è la febbre che certi animi sentono ancora, per misurare la quale non hanno bisogno del termometro.
La febbre Villeneuve, infatti, è sempre a quaranta.