Barcellona, Montecarlo, Baku. Un trittico amaro per la Ferrari, almeno quanto il caffè che i tecnici di Maranello avranno tracannato in fretta e furia all’alba di lunedì, per cercare di comprendere cosa stia succedendo al motore della rossa, che in poche gare è passato da “Superfast” a “Superfritto”.
Non è il momento di guardare la classifica, onde evitare crisi depressive, ma non è neanche il momento di piangere sul latte versato o sul fato avverso, che di certo, in questi ultimi fine settimana, non ha sorriso agli uomini in rosso.
I risultati straordinari della Ferrari, dopo le prime gare, avevano incoronato il Cavallino come l’appiglio su cui caricare tutte le aspettative dello sport italiano nel 2022. Giornali sportivi e generalisti avevano identificato nel sogno di Maranello quello di un paese intero.
Ma gli entusiasmi da inizio stagione sono come i palloncini, si gonfiano così tanto di parole e aspettative, che nel momento in cui vengono disattese, esplodono rumorosamente.
La F1-75 è una vettura nata alla grande, ma dopo un’infanzia felice e spensierata ecco che arrivano i primi capricci adolescenziali. Leclerc è il fratello maggiore perfetto, sempre pronto a portare la sorellina rossa davanti a tutte le altre nei parchi giochi asfaltati in giro per il mondo.
Ma in uno sport collettivo come la Formula 1 il talento del pilota non basta, e per costruire cicli vincenti tutte le pedine dello scacchiere, dalla vettura al muretto fino ai piloti, devono armonizzarsi al meglio, formando un ingranaggio perfetto.
E l’ingranaggio Ferrari, forse non è perfetto, però è sicuramente ambizioso.
Il motivo alla base dei punti persi in queste ultime gare è proprio questo: l’ambizione a vincere ogni battaglia.
I problemi di affidabilità a Barcellona e a Baku sono un campanello d’allarme, ma dimostrano quanto Ferrari voglia cercare di sconfiggere la corazzata Red Bull in ogni circuito e la strategia folle di Monaco parte dall’azzardo, come sottolineato da Binotto, di voler completare una doppietta, nonostante le avversità, in suolo monegasco.
Quello che si chiedeva alla scuderia di Maranello prima della stagione, era di tornare a far battere i cuori dei tifosi della rossa, rattrappiti da anni di delusioni.
Quello che si è chiesto, non appena la macchina si è dimostrata competitiva è di vincere il titolo.
Se accontentarsi nella vita è difficile, nello sport è totalmente impossibile.
Però se oggi ci si dispera per tre gare andate male, nelle quali per di più la Ferrari stava dominando, vuol dire che una missione è già stata portata a termine, la passione si è riaccesa.
A questo proposito invertire il celebre motto di Boniperti in “vincere è importante, ma non è l’unica cosa che conta” non è una manovra furbesca, da volpe che non arriva all’uva, ma la duplice chiave di lettura da dare a questa stagione.
Vogliamo una Ferrari cinica, ma conservativa, che accetti di essere inferiore spesso e volentieri a Red Bull, accontentandosi di calcare il terzo scalino del podio, per puntare a lavorare sulla costanza di risultati?
Una Ferrari che veda nella vittoria del titolo l’unica cosa che conta, al di là dei risultati tappa per tappa?
Oppure vogliamo una Ferrari che cerchi di dominare ovunque, di vincerle tutte, di entusiasmare, anche a costo di strafare e lasciare punti pesanti per strada? Una Ferrari, che nell’anno della rinascita punti a costruire un percorso, piuttosto che a conseguire un obiettivo prefissato?
Quale delle due strade si sposa meglio con il motto identitario “Essere Ferrari”? A voi la risposta…