Strana la vita, caro Max Verstappen: diventi bicampione del mondo ma il contesto in cui ciò avviene sembra pari pari la famosa scena di Tre Uomini e Una Gamba: “Sei campione del Mondo! – Sì, ma niente di serio!”
Tutt’intorno, avversari collegati da remoto che professano, indignati, il proprio scontento, commentatori in difficoltà, più polemiche che cosplayer, occhi sgranati e l’intera desolazione rossa dipinta sul volto di Charles Leclerc.
Una vittoria annacquata dalle polemiche sui regolamenti e dal polverone sollevato per le imminenti rivelazioni sulla questione del budget cap, ma soprattutto dal fatto che fosse ampiamente annunciata da tempo. Spiace che, per due stagioni di fila, si sia ripetuto un copione simile: penalità e polemiche su commissari e Fia. Ingeneroso per Max, come per chiunque si affermi in un modo così indubitabile e perentorio nel proprio campo, vedere offuscata la sacrosanta celebrazione di un trionfo da una così nebbiosa atmosfera, ma immagino che la cosa, per il suo metallico modo di sentire, lo lasci alquanto indifferente.
Fuor di metafora, il plumbeo weekend di Suzuka ci porta a parlare di un argomento che non può e non deve assolutamente venire offuscato, vale a dire la sicurezza in pista.
Limitarsi a ripetere come un mantra che eventi tragici come quelli che hanno portato alla sventurata scomparsa di Jules Bianchi non devono più accadere non impedirà magicamente che scene indegne della massima serie automobilistica si ripetano in maniera quasi surreale, con i piloti che si vedono sbucare, nella foschia del temporale, non uno bensì due trattori, come in un film horror a basso budget girato nella Bassa. Quel che abbiamo visto a Suzuka non è un’opera di fantasia, ma la plastica rappresentazione di un pericoloso scollamento fra quella che è la reale percezione del rischio in pista data da piloti e addetti ai lavori e l’idea di gestione che ne hanno coloro che comandano, i quali, a fronte di una lentezza a volte esasperante nel prendere decisioni, mostrano sempre una gran fretta nel far intervenire i mezzi di soccorso. Sono forse preoccupati che gli spettatori, già tediati da ritardi e rinvii, volgano la loro attenzione a un altro show se non vedono presto le macchinine tornare a girare in pista? Sì, lo sono.
One for the money, two for the show, scriveva una me avveduta ma troppo fiduciosa in merito alla nuova F1 di Liberty Media, qualche anno fa. Faccio ammenda: non solo qualcuno ha calpestato le belle blue suede shoes della Formula Uno, della Formula Uno mia e di molti appassionati, ma ci sta manovrando sopra con la grazia estemporanea di un trattore.
In merito alla voce penalità discutibili, punteggi e budget cap – a proposito, da oggi troverete la sua foto nell’almanacco dei modi di dire, esplicativa della massima della montagna che ha partorito un topolino – osservo, da mestierante del campo, che se scrivi un regolamento complicato e sibillino, senza un sistema di premi e sanzioni equilibrato e chiaro, qualsiasi decisione in merito genererà scontento e che chi dovrà controllarne la corretta esecuzione, smarrito in queste foreste di simboli molto poco poetiche, deciderà di non decidere. O di dare un buffetto, consigliando ai rancorosi di ingoiare il proprio risentimento aiutandosi con un ben noto energy drink.
Per quanto riguarda quelli come me, se volete trovarci per fare due chiacchiere, siamo in giro sul web a commuoverci per quel MSC comparso in testa alla classifica per qualche millisecondo, a scambiarci video di quel sesto posto deciso per 11 millesimi e a ricordarci che l’arena di Suzuka, più di mille litanie agiografiche, spiega bene quale mostro da competizione fosse Ayrton Senna. Sarà facile riconoscerci: ci chiamano vecchi.