Una vettura da competizione, si sa, è un sistema complesso. Un sistema all’interno del quale i carburanti hanno giocato e giocano un ruolo determinante. Le prestazioni di un qualsivoglia motore, infatti, sono strettamente correlate alla bontà e all’efficacia del carburante impiegato.
La “guerra dei carburanti” è un tema ricorrente e ciclico in Formula 1; anzi, questo particolare “fronte di battaglia” – in ombra, lontano dai riflettori delle più ordinarie e comuni cronache tecniche – ha animato e anima tutt’ora il dietro le quinte della Formula 1 stessa. Il Regolamento Tecnico FIA Formula 1 2017 affronta l’argomento “carburante” (come del resto accade da anni) nell’Articolo 19 (Fuel). Di seguito, riportiamo l’intera regolamentazione a riguardo [Foto 1, 2, 3 e 4].
Come si evince, si tratta di un Articolo dettagliato, preciso, atto ad enunciare le definizioni, le specifiche generali e la composizione del carburante (compresa quella della sola benzina), nonché ad esplicitare le procedure di verifica dei campioni di carburante stesso, effettuabili ed effettuate durante i Gran Premi grazie alla gascromatografia. Attualmente, la Formula 1 – prendendo in esame i campionati di levatura mondiale e internazionale – può vantare la regolamentazione più libera in questo settore. Non a caso, la sfida e la concorrenza tra fornitori e team è intensa e aperta. Tuttavia, in questo 2017, sono state introdotte importanti novità circa il numero delle formulazioni utilizzabili nell’arco di un Gran Premio (massimo due tipi diversi di carburante ad Evento) e dell’intero campionato (massimo 5 formulazioni). Formulazioni che debbono essere debitamente approvate dalla FIA.
Dal 1958, anno della messa al bando delle famigerate miscele speciali (dal 1950 al 1957, il Regolamento non poneva limiti circa la formulazione dei combustibili), le cronache tecniche della Formula 1 (e, più in generale, delle corse di stampo europeo) fanno spesso ricorso alla più vaga e vuota delle terminologie: “carburante o benzina commerciale”. Una definizione, evidentemente, che lascia il tempo che trova, poiché di commerciale c’era e continua ad esserci poco o nulla. Una benzina racing, o un qualsivoglia carburante da competizione, ha poco in comune con i carburanti quotidianamente in vendita nelle reti di distribuzione, fatti salvi gli elementi base e, riferendoci a quanto accade oggigiorno, la limitazione o il divieto di sostanze e additivi particolarmente tossici (o ritenuti tali) o insicuri. A questi, vanno aggiunti quelle sostanze e quei componenti i quali, in quanto esaltanti delle prestazioni, vengono arginati o vietati dagli organi tecnici e sportivi. Come dire: anche una normale utilitaria ha i freni a disco parimenti ad una Formula 1… Chiaro no?
E dal 1958, non è un caso, le controversie attorno ai carburanti hanno colorito e vivacizzato ancor di più il già litigioso e positivamente esasperato mondo della Formula 1. La pace e la mitigazione delle prestazioni, che la aleatoria definizione “carburante commerciale” avrebbe dovuto consegnare all’ambiente, si sono ben presto tramutate, come era logico attendersi, in aperta guerra tra team e fornitori. I costruttori, infatti, perennemente affamati di prestazioni e primato, hanno cercato sin da subito il modo più redditizio e sollecito per aggirare, interpretare e ingannare sottobanco i regolamenti susseguitesi dal 1958 ad oggi. Regolamenti sui carburanti, peraltro, in altre epoche ben più snelli ed essenziali, i quali ponevano, tra i pochi vincoli, il valore massimo del Numero di Ottano (per tanti anni, attorno ai 100-102).
Nel 1983, il “caso Brabham” seminava polemiche e sospetti: Ferrari e Renault, infatti, accusavano il team allora capitanato da Bernie Ecclestone di impiegare benzine irregolari, specie per quanto concerneva il Numero di Ottano, superiore al massimo consentito dal Regolamento (102). Il 4 cilindri in linea Turbo BMW – il celebre M12/13, ovviamente di 150cc di cilindrata – soffriva di detonazione, ossia una combustione atipica e dannosa, una autentica autoaccensione parziale della carica di miscela. Una benzina ad alto Numero di Ottano può lenire questo fenomeno, dagli effetti nocivi su prestazioni ed affidabilità. Altre fonti, tuttavia, sostengono che il carburante usato dalla Brabham fosse regolare e rispettasse il Numero di Ottano stabilito dal Regolamento. In quell’anno, peraltro, era stata depennata la definizione “carburante commerciale”: la Ferrari aveva letto questo dietrofront come un “inciucio” tra Ecclestone e Jean-Marie Balestre (Presidente della FISA) ma, nei fatti, pare che anche altre scuderie (specie nei GP extra-europei) avessero fatto ricorso a benzine avio. Per non parlare delle additivazioni, diffuse. Ancora oggi, insomma, non c’è accordo di vedute e di analisi attorno alla vittoria mondiale di Nelson Piquet e della sua Brabham BT52-BMW. Nel 1984, tra i vari capi di accusa contro la scomoda e competitiva Tyrrell 012-Cosworth DFY aspirato (V8 di 3000cc), vi era quello inerente il carburante e, in particolare, l’iniezione d’acqua. Secondo la FISA, infatti, l’acqua impiegata conteneva una percentuale del 27,5% di “idrocarburi aromatici disciolti in acqua” (!). In realtà, la contaminazione era pari allo 0,005%! Sfumato questo capo d’accusa, la FISA trovava altri cavilli ai quali appigliarsi pur di squalificare le Tyrrell di Stefan Bellof, Martin Brundle, Stefan Johansson.
In passato, non era raro assistere alla squalifica di piloti e auto a seguito di irregolarità tecniche di varia natura. Questo avveniva anche in epoche a noi vicine nel tempo (e continua ad accadere in molte categorie nonostante le monoforniture e i regolamenti vessatori…). Nel 1988, al GP del Belgio, le Benetton B188-Cosworth DFR (V8 aspirato di 3500cc) di Thierry Boutsen e Alessandro Nannini – rispettivamente 3° e 4° alla bandiera a scacchi – venivano squalificate per benzina irregolare. A Spa-Francorchamps, nel 1997, Mika Hakkinen veniva privato del 3° posto finale: la sua McLaren Mp4/12-Ilmor/Mercedes era alimentata da una benzina non conforme al Regolamento.
Nella prima decade degli Anni 2000, all’apice dei rifornimenti in gara reintrodotti nel 1994, i team erano soliti “correggere” le benzine durante i rifornimenti mediante additivazioni (teoricamente) non concesse dal Regolamento. Benzine illegali, schiettamente parlando. Un gruppo di tecnici, allora, scriveva alla FIA, sollecitando da parte della Federazione Internazionale dell’Automobile una liberalizzazione dei carburanti. La FIA taceva, in una sorta di silenzio-assenso. L’introduzione dei V8 aspirati di 90° di 2400cc – correva l’anno 2006 – amplificava a dismisura questo genere di pratiche “clandestine”. La prima generazione di V8, infatti, si rivelava inaffidabile e non priva di problemi. I carburanti speciali, additivati sottobanco, fronteggiavano queste inattese complicanze. Molteplici le funzioni di questi additivi: ottimizzare la combustione, il rendimento, i consumi, accrescere la potenza, innescare una “extra-ossigenazione” della miscela aria-carburante, addolcire la curva di coppia (critica e “impiccata” in alto nei V8 di 2400cc, il cui regime di rotazione era limitato dapprima a 19,000 giri/minuto, quindi a 18,000 giri/minuto), aumentare il peso specifico del carburante allo scopo di ridurne il volume a parità di energia. Infine, una mirata additivazione poteva raffreddare la carica, rendendola più densa, a beneficio, pertanto, di prestazioni e affidabilità.
In più, in anni in cui ormai i motori sono contingentati nel numero, carburanti e lubrificanti hanno assunto una palese rilevanza anche in quest’ottica. Attualmente, i V6 di 90° di 1600cc di cilindrata, monoturbo e ibridi, vigenti in Formula 1 (regime massimo di rotazione fissato a 15,000 giri/minuto) debbono durare molti chilometri: i team hanno a disposizione, per ciascun pilota, solo 4 motori a stagione, ridotti a 3 (salvo ripensamenti) nel 2018.
Abbiamo parlato di detonazione e iniezione d’acqua. Ebbene, si tratta, invero, di due aspetti strettamente legati alla formulazione del carburante e al tipo di miscela immessa in camera di scoppio. Oggi più che mai, una liberalizzazione dei carburanti e dei sistemi anti-detonanti gioverebbe alla varietà di opzioni sperimentabili in Formula 1, specie in presenza di complessi motori turbocompressi ad iniezione diretta sottoposti a ferrei vincoli di consumo (consumo massimo di carburante in gara pari 105 kg, consumo orario massimo da e oltre 10,500 giri/minuto pari a 100 kg/h) e chilometraggio.
Benzine ad alto Numero di Ottano (attualmente il Regolamento di F1 prescrive il valore minimo (RON+MON/2), ossia la media dei valori espressi secondo i metodi Research Octane Number e Motor Octane Number; il valore è di 87), iniezione d’acqua, miscele a base alcolica e carburanti squisitamente alcolici (etanolo e metanolo, caratterizzati da elevati Numeri di Ottano, superiori a 110) costituiscono gli espedienti più immediati e più frequentemente impiegati al fine di scongiurare il fenomeno della detonazione, nonché ottimizzare la combustione stessa. Espedienti, invero, noti e sfruttati con successo sin dagli albori delle competizioni automobilistiche ed ereditati dalla tecnologia aeronautica.
L’iniezione d’acqua è, senza dubbio, un sistema tanto semplice quanto redditizio, da troppi anni scioccamente vietato dal Regolamento Tecnico FIA Formula 1 (e non solo). L’acqua, il cui Numero di Ottano è infinito, possiede un sensibile potere anti-detonante e refrigerante; ciò rende possibile il raggiungimento di elevati rapporti di compressione e valori di pressione di alimentazione e sovralimentazione altrimenti difficilmente esprimibili. Nei motori Turbo di F1 di prima generazione (e non solo, come nel caso della già citata Tyrrell 012-Cosworth DFY del 1984), l’iniezione d’acqua incarnava una pratica diffusa: Renault, Ferrari, BMW. I motori Turbo Formula 1, infatti, soffrivano di detonazione (le pressioni massime di sovralimentazione, sino al 1987, toccavano o sforavano i 4-5 bar), sebbene contraddistinti da una cilindrata unitaria contenuta (il rischio di detonazione diminuisce in presenza di piccole cilindrate unitarie ed elevati frazionamenti). Una celebre applicazione dell’iniezione d’acqua risale agli anni della Seconda Guerra Mondiale. Ci riferiamo alla famigerata “MW50”, acronimo di “Methanol-Wasser 50%”, miscela impiegata dall’industria motoristica aeronautica tedesca nel corso del secondo conflitto mondiale. Nello specifico, la composizione prevedeva un 49,5% di acqua, un 50% di metanolo ed uno 0,5% di Schutzöl 39, un anticorrosivo. Venivano, inoltre, disciolti additivi anticongelanti affinché si potesse usare la MW50 anche in quota. Questa miscela metanolo-acqua, iniettata nel compressore centrifugo in percentuali variabili dal 30% al 70%, realizzava incrementi massimi di potenza pari al 35%. In tal modo, il Daimler-Benz DB605 – V12 di 60° invertito, raffreddato ad acqua e glicolo, di 35,76 dm3 di cilindrata, sovralimentato attraverso compressore centrifugo monostadio – poteva incrementare la propria potenza per brevi istanti da 1475 CV a 2800 giri/minuto a 2000 CV.
Al tramonto della prima era delle Formula 1 1500cc Turbo, le autorità tecniche e sportive vietavano l’iniezione d’acqua. Come si legge nel Regolamento Tecnico Formula 1 1988, “Internal and/or external spraying or injection of water or any substance or matter whatsoever is forbidden (other than fuel for the normal purpose of combustion in the engine)”.
La scelta del metanolo per la realizzazione della MW50 non è casuale. Gli alcoli – metanolo ed etanolo su tutti (rispettivamente detti anche alcol metilico ed etilico) – sono ottimi refrigeranti della colonna gassosa ed eccellenti anti-detonanti grazie, come abbiamo visto, al loro alto Numero di Ottano. Attualmente, il Regolamento Tecnico FIA Formula 1 contempla una percentuale minima pari a 5,75% di cosiddetti “bio-components”; inoltre, il valore massimo del DVPE (Dry Vapor Pressure Equivalent, il valore minimo è 45 kPa – kilopascal) può toccare i 68 kPa (di norma è pari a 60 kPa) qualora una percentuale minima del 2% di metanolo e/o etanolo sia inclusa nel carburante. Per “bio-components” si intendono paraffine, olefine, diolefine, nafteni (altro nome dei cicloalcani), idrocarburi aromatici e ossigenati (questa ultima famiglia abbraccia, ad esempio, alcoli, fenoli ed eteri) di derivazione, intera o parziale, biologica. In Formula 1, come nel resto del panorama sportivo europeo, i carburanti con percentuali variabili di alcoli sono tornati alla ribalta, promossi al rango di “bio-carburanti” secondo una retorica ambientalista tanto inflazionata ed abusata quanto ipocrita e tecnicamente fuorviante. È logico e verosimile ritenere che, laddove oggigiorno impiegati, la reale funzione di questi alcoli presenti nella benzina sia ancora prevenire la detonazione, refrigerare la carica ed ottimizzare combustione, rendimenti, rapporti di compressione e pressioni di sovralimentazione. Insomma, la proverbiale ricerca del miglior compromesso tra prestazioni ed affidabilità, esercizio particolarmente arduo specie in presenza di una formula-consumo qual è la odierna Formula 1.
In passato, i carburanti a base alcolica (a ragione, non ritenuti “bio”…) spopolavano. Tra gli Anni ’20 ed il 1958, la sperimentazione attorno a tali carburanti si rivelava incessante e proficua. Nel 1925, la Società Anonima Elcosina Carburanti Nazionali sviluppava, per l’Alfa Romeo P2 (8 cilindri in linea, 1987cc, compressore volumetrico Roots) la miscela Elcosina così composta: benzina 54%, etanolo (CH3CH2OH) 44%, etere 2% (componente estremamente volatile, serviva a facilitare l’avviamento a freddo). La Shell era tra le più attive. Nel 1928 realizzava, ancora per Alfa Romeo, una miscela composta da un 70% di benzina auto ed un 30% di benzolo. Questo ultimo componente, impiegato per il suo alto potere anti-detonante, altro non è che una miscela di benzene al 70% (C6H6), toluolo al 20%, xilolo al 10% e tracce di composti solforati. Nel 1932, la Shell metteva in regolare commercio il famoso Dynamin: usato anche e soprattutto in ambito competizione, esso è composto da un 20% di etanolo, un 30% di benzolo, un 49% di benzina aromatica, un 1% di olio di ricino (preposto alla lubrificazione dei compressori – molto usati i volumetrici – e delle valvole). Le celeberrime “Alfetta” – le Alfa Romeo 158 e 159 (8 cilindri in linea, 1479cc, due compressori volumetrici Roots), le prime monoposto campioni del mondo di Formula 1 nel biennio 1950-1951 – impiegavano una ulteriore versione del Dynamin: metanolo (CH3OH) al 98%, acqua distillata al 2%, olio di ricino allo 0,3%. La BRM V16 (16 cilindri in V di 135°, 1488cc, compressore centrifugo doppio stadio), straordinario esercizio tecnico concepito alla fine degli Anni ’40 e attivo sino alla metà degli Anni ’50, ha impiegato due tipi di miscele che differivano tra loro solo nelle percentuali: la prima prevedeva metanolo all’80%, benzolo al 10%, isopentano (C5H12) al 10%, la seconda metanolo al 70%, benzolo al 20%, isopentano al 10%.
La iridata Mercedes W196 (1954-1955, 8 cilindri in linea aspirato, 2496cc) impiegava la seguente miscela studiata dalla Esso: benzina avio 130 Ottani al 25%, metanolo al 25%, benzolo al 45%, acetone (C3H6O, assai volatile e caratterizzato da un elevato Numero di Ottano) al 3%, nitrobenzolo al 2%. Prima del divieto delle miscele speciali datato 1958, la Ferrari aveva adottato il segretissimo Super F52, carburante sviluppato dalla Shell: metanolo al 40%, benzolo al 30%, benzina avio tra 115 e 145 Ottani al 30%. A questa miscela, venivano aggiunti 0,800 grammi di acqua distillata e 1 litro di olio di ricino per 100 kg di miscela. La formulazione di questo carburante è rimasta segreta sino alla fine degli Anni ’60. Senza dubbio, tra le miscele speciali più esasperate vi era quella utilizzata dalla Maserati per la 250F (6 cilindri in linea aspirato, 2493cc), campione del mondo nel 1954 e 1957: benzina 100 Ottani al 40%, metanolo al 33%, nitrometano (CH3NO2) al 14%, alcol isobutilico (o 2-metil-1-propanolo) al 12%, acqua all’1%. Il nitrometano, alle alte temperature, libera ossigeno; si realizzava, pertanto, una sorta di “sovralimentazione chimica”, utile a bruciare più carburante, quindi ad erogare più potenza. Il nitrometano è ancora largamente impiegato nel regno delle brucianti accelerazioni, quello dei dragster Top Fuel.
Se in Europa, negli ultimi anni, si assiste ad un rinnovato amore (purtroppo smaccatamente ideologico e demagogico e non puramente tecnico e funzionale) verso le miscele alcol-benzina, negli Stati Uniti, da decenni, l’uso dei carburanti alcolici si erge a diffusa e praticata consuetudine. Attualmente, la IndyCar (V6 di 2200cc, biturbo, iniezione diretta) si affida alla Sunoco quale fornitore unico ed ufficiale della massima serie nordamericana riservata a vetture a ruote scoperte. Il carburante impiegato è l’E85, miscela composta all’85% da etanolo e al 15% da benzina (serbatoio da 18,5 galloni statunitensi, pari a 70 litri) e ormai priva dell’additivo HiTEC® 6590 (sostanza che, mantenendo puliti iniettori e valvole di aspirazione, massimizza prestazioni e consumi, specie in presenza di alti tenori di alcoli), usato esclusivamente dalla Chevrolet e poi, appunto, bandito. Il caso dell’HiTEC® 6590 è emblematico: nonostante la monofornitura Sunoco, la Chevrolet aveva trovato il sistema di aggirare tale imposizione, additivando il carburante fornito dall’organizzatore e, in teoria, uguale per tutti! Paradossi delle (inutili) monoforniture…
Nel recente passato, la serie americana aveva fatto ricorso anche alla miscela etanolo al 98% e benzina al 2% (serbatoi da 22 galloni statunitensi, pari a 83,2 litri, motori V8 aspirati di 3500cc). In passato, ai tempi d’oro della USAC-CART da urlo, era il metanolo il protagonista indiscusso, divenuto celebre anche per la sua fiamma “invisibile”.
I carburanti alcolici, tuttavia, presentano aspetti negativi. Su tutti, il basso potere calorifico, peculiarità che inevitabilmente alza e peggiora i consumi. Più è alto il tenore di alcol, più i consumi subiscono un repentino peggioramento. La benzina ha un potere calorifico pari a 10,500 kcal/kg, il metanolo 4670 kcal/kg, l’etanolo al 99% 6239 kcal/kg. I dati parlano chiaro e i consumi, in presenza di carburanti alcolici, si innalzano inesorabilmente. La già citata “Alfetta” – vettura che al suo massimo stadio evolutivo erogava oltre 400 CV a 9000 giri/minuto – percorreva poco più di 600 metri con 1 litro di carburante (metanolo al 98%). Le monoposto turbocompresse USAC-CART (serbatoio da 40 galloni statunitensi, pari a 151,4 litri) alimentate a metanolo al 100% – carburante adottato soprattutto per la bassa pericolosità, essendo facilmente estinguibile con l’acqua – percorrevano, tra la fine degli Anni ’80 e i primi ’90, appena 769 metri con 1 litro di alcol metilico (130 litri di metanolo/100 km). Il basso potere calorifico, inevitabilmente, richiede una miscela aria-carburante notevolmente più ricca; da qui, i consumi alle stelle. In quegli anni, la CART vedeva contrapporsi principalmente due tipologie di motori, entrambe turbocompresse (un singolo Turbo, come da regolamento): i “pure racing” 4 valvole per cilindro e distribuzione ad alberi a camme in testa di 2650cc (V8 Cosworth, Ilmor, Alfa Romeo, Porsche, etc.) e gli “stock block” con distribuzione ad aste e bilancieri e 2 valvole per cilindro di 3430cc (V6 Buick e V8 Ilmor su tutti). Motori dalla sofisticata progettazione, dal delicato sviluppo e dalle esuberanti prestazioni. Tanti i temi che i motoristi dovevano affrontare nella progettazione di quei formidabili motori, ad iniziare proprio dal carburante adottato, il metanolo.
Nel FIA World Endurance Championship, i Prototipi LMP1 a benzina debbono adottare (purtroppo) la medesima tipologia di carburante fornita, approvata ed omologata dall’organizzatore stesso (nella fattispecie, tutti i carburanti sono prodotti dalla Shell): essa prevede un 20% di “bio-basis”. Parimenti, le vetture Diesel debbono impiegare lo stesso gasolio, il quale presenta una percentuale di “bio-basis” pari al 10%. Le LMP2, tutte a benzina e da quest’anno provviste del medesimo motore, fanno ricorso ad un carburante qualificato da un 20% massimo di “bio-basis”. Più elaborato il Regolamento LMGTE 2017. Il RON (Research Octane Number) è compreso tra 104 e 106, il MON (Motor Octane Number) tra 90 e 92. La percentuale di etanolo è minore-uguale a 20%v/v (concentrazione percentuale volume/volume). Si tratta, dunque, per quanto concerne le LMP1 a benzina, LMP2 e LMGTE, di una miscele alcol-benzina E20 (20% etanolo, 80% benzina). Nel caso delle LMP1 Diesel, il gasolio non deve contemplare i cosiddetti FAME (acronimo di Fatty Acid Methyl Ester, metil esteri degli acidi grassi), vale a dire metil-esteri prodotti mediante transesterificazione dei grassi di oli, estratti da colture oleaginose, con metanolo.
Abbiamo visto come la storia dell’evoluzione dei carburanti da competizione sia circolare e ciclica. Dopo la messa al bando dei carburanti alcolici, anche in Europa si assiste ad un ritorno di questi ultimi nelle massime serie mondiali, ad iniziare dalla Formula 1. Il legislatore, dal canto suo, deve ormai assecondare rigide norme internazionali circa l’impiego e i valori massimi di determinati componenti, quali piombo, manganese (in F1, gli additivi a base di manganese sono vietati) e così via. Ovviamente, il concetto di “benzina commerciale”, oggi come ieri, va preso con le dovute pinze. Allo stesso tempo, l’uso ideologico di etanolo e metanolo (dilagante anche nella normale produzione di serie e nel settore dei mezzi pubblici, specie in Nord Europa e USA) si pone in contraddizione con due “credo” oggi imperanti: rispetto (o presunto tale) per l’ambiente ed efficienza dei motori. Questi due alcoli, infatti, quando combusti, producono sostanze altamente tossiche. L’etanolo, ad esempio, non produce solo acqua e la demonizzata anidride carbonica (evidentemente quando prodotta dall’alcol etilico, non preoccupa gli ambientalisti…), ma anche monossido di carbonio, benzene, acetaldeide e formaldeide (tutte sostanze cancerogene). La tossicità del metanolo, anche non combusto, è nota e assodata. In più, come abbiamo visto, se da un lato apportano benefici alla combustione grazie all’elevato Numero di Ottano e al potere anti-detonante/refrigerante (in mancanza del piombo tetraetile – C8H20PB), dall’altro innalzano i consumi, fattore che in tempi di rinnovate “formule consumo” (Formula 1 e LMP1) e di “efficienza energetica” stride e non poco.
Ad ogni modo, una degna e più ampia liberalizzazione dei carburanti (inseriamo in questo ambito, anche la ormai misconosciuta e bandita iniezione d’acqua) gioverebbe a tutto il motorsport, posto il fatto che “carburanti commerciali”, in ambito competizione, non sono mai esistiti e che i carburanti ecologici sono una mera invenzione intellettuale. Non si capisce, infatti, per quale ragione la BMW M4 sia dotata di iniezione d’acqua di ultima generazione e le vetture da competizione – Formula 1, Prototipi e via dicendo (“Other than engine sump breather gases, exhaust gas recirculation, and fuel for the normal purpose of combustion in the engine, the spraying of any substance into the engine intake air is forbidden”, recitano all’unisono i Regolamenti Formula 1 e LMP1) – ne debbano essere sprovviste.
Misteri ai quali rispondiamo con una più netta liberalizzazione dei carburanti e dei sistemi ad essi legati.
Scritto da: Paolo Pellegrini