Sono passati quasi 70 anni da quando, nel 1950, venne ufficialmente istituito il campionato mondiale di Formula 1. In questo lunghissimo periodo di tempo abbiamo assistito alle imprese di grandi campioni, di monoposto eccezionali e di tanti, tantissimi uomini che hanno caratterizzato questa categoria unica al mondo. E’ altrettanto vero, però, che in tutti questi decenni ci sono stati anche campionati monotoni, dove la netta superiorità di un pilota o di un team ha finito per dominare incontrastato un intero campionato, lasciando agli avversari solo le briciole, senza possibilità di vittoria.
In occasione della 68° edizione del campionato del mondo, quella che stiamo vivendo oggi e che ancora potrebbe riservare colpi di scena fino alla fine nel duello tra Lewis Hamilton e Sebastian Vettel, la Pirelli (azienda milanese ed unica fornitrice di pneumatici in Formula 1 dal 2011) ha pubblicato sul proprio sito ufficiale la propria “top 10” delle stagioni più belle, combattute, imprevedibili ed emozionanti di sempre. Dieci campionati che andremo a rivivere insieme in ordine cronologico.
1957: Fangio diventa leggenda | I 10 mondiali di Formula 1 più imprevedibili
Il primo campionato che la Pirelli considera degno di essere riconosciuto come uno dei più avvincenti fu quello del 1957. Negli anni ’50 il Re assoluto della Formula 1 è un pilota di nazionalità argentina di origini abruzzesi: Juan Manuel Fangio.
In sei anni di carriera nella neonata serie automobilistica, che diventerà un punto di riferimento mondiale per tutti i piloti, Fangio ha già in tasca quattro titoli mondiali, ottenuti con tre marchi diversi: Alfa Romeo, Mercedes e Ferrari.
Nel 1957 l’argentino gioca l’ultima carta della sua carriera in F1 al volante di un’altra monoposto italiana: la Maserati, la stessa con cui sfiorò il titolo nel 1953. C’è solo un unico, grosso ostacolo sportivo che separa Fangio dalla conquista del titolo: la Vanwall di Stirling Moss. Il britannico, al volante della monoposto inglese, è determinato a rendere la vita difficile a Fangio, anche se è proprio quest’ultimo a vincere tre delle quattro gare di inizio stagione, mentre Moss fatica. Nella seconda metà di campionato (nel quale erano previste soltanto 8 gare in calendario), l’inglese inizia a farsi più aggressivo, e tenta una disperata rimonta in classifica vincendo a casa propria, a Pescara ed in Italia. Tre vittorie complessive che risultarono però inutili: Fangio infatti, grazie ad una quarta ed ultima vittoria al Nurburgring, si aggiudicò matematicamente il quinto titolo mondiale della sua carriera, e successivamente annunciò il ritiro dalla F1. Grazie a questo successo, ottenuto a poco più di 46 anni d’età (un record di longevità che resiste ancora oggi, e probabilmente non sarà mai battuto), Fangio rimase per lungo tempo il pilota con il maggior numero di titoli conquistati in Formula 1. Un primato che resistette fino al 2003, anno in cui Michael Schumacher superò questo storico record rafforzandolo nel 2004, con 7 titoli mondiali in tasca. Ancora oggi però, subito dietro al tedesco c’è la firma dell’argentino.
1964: all’improvviso arriva Surtees | I 10 mondiali di Formula 1 più imprevedibili
Jim Clark su Lotus, o Graham Hill su BRM? Sembrava essere questa la scommessa più giocata in Inghilterra, terra che nel 1964 poteva contare su due pretendenti al titolo di campione del mondo, entrambi sudditi della Regina al volante di vetture britanniche. Ed infatti, nella prima metà di quel campionato, Clark vinse tre gare, mentre Hill salì sul gradino più alto del podio solo nella gara d’aperture a Montecarlo. Dopo cinque gare, al giro di boa della stagione, nessuno avrebbe mai ipotizzato che un altro pilota, un outsider, avrebbe avuto la forza e la determinazione di inserirsi nella lotta al mondiale, apparentemente riservata a Clark ed Hill. E invece, proprio dalla 6° gara in calendario in Germania, la vittoria finì nelle mani di un altro inglese, famoso per il suo sorriso e per il suo passato da campione di moto: John Surtees, su Ferrari. Supportato da un compagno di squadra veloce ed affidabile come Lorenzo Bandini, entrambi i ferraristi sono assoluti protagonisti del finale di stagione, nella quale spicca una Ferrari tornata improvvisamente in forma ed in forte rimonta sui colossi inglesi. Bandini vince in Austria, mentre Surtees si ripete in Italia davanti ad un pubblico festante. In questo clima, Hill tenta di risalire in classifica vincendo negli Stati Uniti, compattando lui stesso, Clark e Surtees in vetta al mondiale.
L’evento che decide le sorti del campionato 1964 è il Gran Premio del Messico, atto conclusivo del calendario. Hill, pur partendo come favorito, è invece protagonisti di una gara complicata che lo fa scivolare nelle retrovie. La Ferrari e Clark, al contrario, sono impeccabili. Il pilota della Lotus mantiene saldamente la leadership, mentre le due Ferrari lo tallonano. L’esito del mondiale 1964 sembra già scritto, e invece, a tre giri dalla fine, Clark accusa un clamoroso quanto imprevisto problema meccanico, e lascia strada libera alle Ferrari. Gurney vincerà la corsa, mentre Bandini, al fine di favorire la vittoria mondiale del compagno, cede la sua 2° posizione proprio a Surtees. Per l’inglese è sufficiente questo piazzamento per assicurarsi il primo ed unico titolo mondiale della carriera. Il 1964 resterà sempre l’anno in cui Surtees riuscì nell’impresa, ancora oggi mai raggiunta, di diventare l’unico pilota al mondo capace di vincere almeno un campionato sia con le due che con le quattro ruote.
1965: la rivincita assoluta di Clark | I 10 mondiali di Formula 1 più imprevedibili
Jim Clark è da sempre considerato come uno dei piloti più talentuosi mai visti nell’intera storia della Formula 1. La testimonianza più emblematica di questo riconoscimento si può individuare nel 1965, anno in cui il pilota inglese divenne semplicemente imbattibile. Grazie ad una Lotus partorita dalla mente geniale di Colin Chapman, Clark riuscì a controllare il mezzo come una seconda pelle, risultando quasi impossibile da battere. Su 10 gare in programma, l’inglese se ne aggiudicò ben 6. E’ bene precisare che in una di queste non prese nemmeno parte al via (GP di Monaco) in quanto impegnato nella 500 Miglia di Indianapolis, che si concluse proprio con un trionfo. Nel 1965 Clark riuscì quindi a diventare il primo pilota capace di vincere il campionato di Formula 1 e la 500 Miglia di Indianapolis nello stesso anno. Un’impresa che, ancora oggi, non è mai stata replicata da nessun altro. Un campione planetario, tanto che al termine di quella stagione da incorniciare, Clark venne anche ritratto sulla copertina del celebre settimanale “Time”.
1970: la stella di Jochen Rindt | I 10 mondiali di Formula 1 più imprevedibili
Nel 1970 si ripresenta l’interminabile duello tra la Ferrari e la Lotus. Mentre la casa di Maranello affida le sue speranze mondiali al belga Jacky Ickx, il team inglese punta tutto su un tedesco che corre con licenza austriaca: Jochen Rindt. La lotta per il titolo sembra riservata a questi due piloti, ed infatti, dopo le prime due vittorie di Jack Brabham e Jackie Stewart, la Lotus di Rindt cambia ritmo, ed inizia a collezionare vittorie su vittorie. Al contrario, Ickx fatica a portare la sua Ferrari al comando, vincendo solo in Austria. Quando mancano quattro gare alla fine della stagione, la F1 fa tappa a Monza per il Gran Premio d’Italia. Quella che doveva essere una giornata di festa, si trasforma invece in una tragedia. Nel corso delle qualifiche Rindt esce violentemente dalla Parabolica, morendo sul colpo. A quel punto, nonostante il dramma umano, Ickx ritrovò di colpo la speranza di poter aggiudicarsi il titolo mondiale. Eppure, i punti di distacco che lo separavano da Rindt erano talmente tanti che il belga non riuscì a superare in classifica l’austriaco. Decisiva, inoltre, fu la vittoria di Emerson Fittipaldi nel penultimo appuntamento negli USA, che tenne definitivamente distante ogni tentativo di sorpasso in classifica. In questo modo, Jochen Rindt divenne l’unico campione del mondo di Formula 1 postumo.
1976: un campionato da film | I 10 mondiali di Formula 1 più imprevedibili
Se il regista Ron Howard decise di realizzare un film sulla storia della rivalità tra James Hunt e Niki Lauda, una delle ispirazioni maggiori fu senz’altro il campionato del 1976, anno in cui questo dualismo divenne epico.
Nel 1976 si comincia con queste condizioni: Lauda, campione del mondo in carica, si trova al volante della Ferrari nel ruolo di uomo da battere, mentre James Hunt, ex pilota della Hesketh, lancia il guanto di sfida a Lauda sulla competitiva McLaren. Sin dalle prime battute però, risulta evidente la superiorità in pista della Ferrari, con Lauda capace di vincere cinque gare contro le due di Hunt.
Al 10° appuntamento della stagione però, a Nurburgring, avviene il colpo di scena. Lauda è infatti vittima di un incidente che trasforma la sua Ferrari in una torcia. L’austriaco resta per intrappolato per lunghissimi attimi dentro la sua monoposto in fiamme senza il casco, perso nell’incidente, e respirando fumi tossici. Estratto dalla vettura grazie all’eroico intervento di Arturo Merzario, Harald Ertl e Brett Lunger, Lauda venne trasportato in condizioni disperate nel vicino ospedale di Mannheim, dove riuscì a sopravvivere dopo giorni di lotta. Purtroppo, le ustioni riportate al volto in quell’incidente sono ancora visibili oggi.
Ma mentre Lauda lottava come un leone in ospedale, Hunt riusciva a recuperare terreno sull’austriaco, accorciando sempre più la distanza in classifica tra i due. E’ proprio in questo contesto che Lauda, ancora alle prese con le ferite, decise di forzare i tempi di recupero presentandosi al Gran Premio d’Italia solo 42 giorni dopo l’impatto che quasi gli costò la vita, arrivando 4° al traguardo.
Nonostante questo incredibile ritorno, le condizioni di salute ancora precarie di Lauda non consentirono al pilota stesso di tornare alla vittoria, ma i suoi piazzamenti in zona punti furono comunque fondamentali per tenere a distanza Hunt.
Nell’ultimo appuntamento dell’anno, in Giappone, i due contendenti al titolo si presentano sulla griglia di partenza del Fuji per giocarsi al mondiale. Ma la forte pioggia abbattutasi sulla gara alla partenza destabilizzano psicologicamente l’austriaco, che si ritira volontariamente dalla corsa per la paura, rinunciando al titolo. Hunt, che arriverà poi terzo al traguardo, accumulerà punti necessari per superare Lauda in classifica di solo un punto, aggiudicandosi così il primo ed unico titolo mondiale della carriera.
1984: il distacco più breve della storia | I 10 mondiali di Formula 1 più imprevedibili
Nel 1984 l’assoluto protagonista del mondiale è, ancora una volta, Niki Lauda. L’austriaco, ritiratosi dalla F1 nel 1979 con in tasca due titoli mondiali, rientrò nella massima serie nel 1982 al volante della McLaren. L’ex ferrarista, che può contare sul potente motore TAG-Porsche, deve però vedersela, in quel 1984, con un compagno di squadra agguerrito e veloce, desideroso di vincere il suo primo titolo mondiale in carriera: Alain Prost.
Salvo rare eccezioni, la maggior parte del campionato di quell’anno è una lotta aperta e riservata tra i due piloti della McLaren, che si aggiudicano quasi a ritmo alternato vittorie su vittorie. Decisivo per le sorti finali è il Gran Premio di Monaco che, a causa dell’interruzione anticipata della corsa per maltempo, attribuisce, da regolamento, un punteggio dimezzato ai piloti classificatisi in zona punti. Sembra un dettaglio di poco conto, ma in realtà sarà determinante. E infatti, in occasione dell’ultimo gran premio della stagione, da disputare in Portogallo, Alain Prost vince la gara. Dietro di lui arriva in seconda posizione proprio Lauda, giunto in quel piazzamento anche grazie al ritiro di Nigel Mansell, costretto ad alzare bandiera bianca a pochi giri dal termine. Con quel risultato, Lauda poté quindi festeggiare il suo terzo titolo mondiale, annunciando successivamente il ritiro definitivo dalla Formula 1.
Il distacco finale in classifica tra Lauda è Prost fu minimo: 0,5 punti. Ancora oggi è la distanza più breve tra il campione del mondo ed il 2° classificato nella storia della F1.
1987: la guerra fratricida tra Piquet e Mansell | I 10 mondiali di Formula 1 più imprevedibili
Nel 1987 la Williams punta tutto su due piloti di assoluto livello: il brasiliano Nelson Piquet, già due volte campione del mondo, e l’inglese Nigel Mansell, al quale ancora manca un successo mondiale per coronare la propria carriera dopo aver perso il titolo in modo clamoroso l’anno precedente.
Le ambizioni dei due piloti, e la competitività del team, fanno sì che il 1987 diventi un anno particolare, ricco di scontri in pista e di accuse reciproche tra i due alfieri della Williams.
Mansell finisce più volte sul gradino più alto del podio rispetto al proprio compagno, il quale, a differenza dell’inglese, è però più costante a giungere nelle posizioni più alte, accumulando più punti del rivale. Tra i due scoppia una profonda rivalità che va ben oltre la pista, con accuse reciproche che spesso scadono negli insulti. A due gare dalla fine, quando la Formula 1 si presenta in Giappone, Piquet si trova in testa al mondiale, ma Mansell è determinato a proseguire la battaglia. L’inglese è talmente determinato che a Suzuka spinge troppo, anche quando non dovrebbe. E infatti, proprio nel corso delle prove libere, Mansell perde il controllo della sua Williams, andando a sbattere violentemente contro le barriere. L’impatto gli causa la frattura di alcune vertebre ed un ricovero in ospedale che lo costringe al forfait. Ancor prima della gara di Suzuka, Piquet si aggiudica matematicamente il terzo ed ultimo titolo mondiale.
1989: l’apice dello rivalità Prost-Senna | I 10 mondiali di Formula 1 più imprevedibili
Ayrton Senna contro Alain Prost: la rivalità più bella ed avvincente dell’intera storia della Formula 1, e tra le più entusiasmanti anche nello sport in generale. Un dualismo unico ed irripetibile, che ha incollato milioni di appassionati davanti alla tv ad ogni gran premio. Una battaglia ed una sfida che raggiunse il suo culmine e la sua tensione massima nel 1989. Siamo alla fine degli anni ’80, e diversamente da quanto accade oggi, il binomio tra McLaren ed Honda sfornò una vettura incredibile, a dir poco imbattibile. Gli avversari, come se non bastasse, dovevano fare i conti anche con i piloti più forti del momento, in forza proprio al team inglese: Prost e Senna.
Dopo il titolo mondiale 1988, finito nelle mani del brasiliano, il 1989 vede una lotta altrettanto aspra ed equilibrata tra i due compagni di squadra. Si arriva così al penultimo appuntamento della stagione, in Giappone, con Prost in testa al campionato, ma con Senna pronto ad attaccare. La prima fila è interamente occupata dalle monoposto biancorosse, e Senna parte in pole position. Alla partenza però, lo spunto migliore è quello di Prost, che si porta al comando della corsa ed inizia ad accumulare vantaggio. Alle sue spalle Senna inizia una strepitosa rimonta, che lo porta sempre più vicino agli scarichi del rivale. Ma proprio quando il brasiliano prende la decisione di superare il francese, le due McLaren vengono clamorosamente a contatto a ridosso della penultima curva. In queste condizioni, con entrambe le auto fuori dai giochi, Prost è matematicamente campione del mondo. Ma mentre il francese scende dalla macchina, ritirandosi, Senna rientra in pista facendosi aiutare dai commissari, fermandosi ai box per riparare i danni. Grazie ad una seconda rimonta strepitosa, il brasiliano vince la corsa, mettendo le mani sul titolo. Di diverso avviso è però Prost, che fa ricorso alla Federazione a gara ancora in corso.
Il verdetto dei giudici di gara accoglierà la richiesta del francese: Senna viene infatti squalificato per esser rientrato in pista con l’ausilio dei commissari, e per aver tagliato la chicane prima di rientrare in pista.
Con questa decisione, Prost è quindi campione del mondo, mentre Senna considererà sempre questa mossa un’ingiustizia.
2008: campione del mondo per qualche secondo | I 10 mondiali di Formula 1 più imprevedibili
Nel 2008, così come accaduto l’anno precedente, la sfida per il titolo mondiale è una questione riservata a due team: Ferrari e McLaren. Ma mentre nel 2007 Raikkonen diventava campione del mondo con la casa di Maranello, approfittando di un errore di Lewis Hamilton in Brasile, nel 2008, sempre ad Interlagos, la sfida si ripresenta con altri protagonisti.
In un biennio caratterizzato dalla Spy Story prima, che vede come protagonisti questi due team, e dallo scandalo Crashgate poi, la lotta per il campionato 2008 vede ancora una volta Hamilton come candidato insieme ad un altro ferrarista: Felipe Massa. Da un lato il desiderio di vincere il primo titolo mondiale in carriera, dall’altro un pilota che desidera lo stesso sogno, provando a realizzarlo proprio sulla pista di casa.
Il favorito per la vittoria finale è Hamilton, dato che quest’ultimo parte in condizioni di vantaggio. Eppure, complice anche il maltempo, è la Ferrari a restare saldamente in testa alla corsa proprio con Massa, supportato da Raikkonen che fa da scudiero. Più indietro c’è Hamilton al 5° posto, ultima posizione disponibile per potersi aggiudicare il mondiale matematicamente.
Ad un giro dalla fine però, ecco il primo colpo di scena. Hamilton è tallonato dalla Toro Rosso dell’emergente Vettel, che dispone di gomme più adatte alla pista umida contrariamente a quelle dell’inglese. Il pilota della McLaren sbaglia l’ingresso in curva e scivola al 6° posto, in una posizione che lo escluderebbe dalla lotta al titolo a favore di Massa. Il brasiliano, nel frattempo, vince la gara e si laurea momentaneamente campione del mondo. Nelle retrovie Vettel chiude la strada ad Hamilton, ma proprio all’ultima curva, quando tutto sembra già deciso, sia Vettel che Hamilton superano la Toyota di Glock, in crisi con la tenuta delle gomme. In un primo momento lo stesso Glock illude gli spettatori, che lo avevano scambiato per un doppiato. E invece, il sorpasso sul tedesco consente ad Hamilton di guadagnare la 5° posizione a pochi metri dal traguardo, scippando il sogno del mondiale a Massa, che sale sul podio in lacrime.
2012: l’indistruttibile Vettel | I 10 mondiali di Formula 1 più imprevedibili
Dal 2010 al 2013 la Formula 1 vive il periodo di dominio della Red Bull di Sebastian Vettel. L’attuale pilota della Ferrari però, nel 2012, rischiò seriamente di perdere il mondiale all’ultima corsa a favore di Fernando Alonso, che per soli 3 punti non riuscì nell’impresa di riportare il titolo a Maranello. All’ultima gara della stagione, ancora in Brasile, Vettel è il favorito per la vittoria finale, ma in gara succede qualcosa che potrebbe costargli molto caro: alla partenza, dopo uno scatto poco convincente, va addirittura in testacoda dopo un contatto con Bruno Senna, ritrovandosi in ultima posizione con la monoposto incredibilmente integra. A quel punto, improvvisamente, il candidato più forte alla vittoria del titolo diventa Fernando Alonso, ma il ferrarista, bloccato in 2° posizione, non riesce a sopravanzare la McLaren di Jenson Button, il quale, alla fine, vincerà la corsa proprio davanti allo spagnolo. Nel frattempo Vettel, dalle retrovie, inizia una clamorosa rimonta che lo porterà al 6° posto finale: un piazzamento sufficiente per la conquista clamorosa del suo 3° titolo mondiale, ed un’altra sconfitta per Alonso e la Ferrari.
2016: l’ultimo atto di Rosberg | I 10 mondiali di Formula 1 più imprevedibili
Il decimo ed ultimo campionato degno di nota secondo Pirelli è quello appena trascorso: il 2016. La F1 vive l’era ibrida, e con la comparsa della power unit il dominio totale di questa categoria passa dalla Red Bull alla Mercedes, team tedesco nella quale spicca la rivalità tra Lewis Hamilton e Nico Rosberg. Nel 2016 è proprio quest’ultimo a fare la parte del leader, la stessa che in passato aveva sempre sorriso ad Hamilton. Grazie a diverse vittorie, ed a piazzamenti costanti nella zona punti, Rosberg riesce a tenere testa al compagno-rivale, nonostante la presenza di colpi proibiti tra i due dentro e fuori la pista.
Ad Abu Dhabi, ultimo appuntamento della stagione, Rosberg riesce nell’impresa di vincere il suo primo titolo mondiale grazie ad una gara concentrata, attenta. Da campione.
Il tedesco diventa così il secondo pilota nella storia ad aver vinto un mondiale come il padre, Keke Rosberg, a venti anni di distanza dall’impresa di Damon Hill. Neanche il tempo di festeggiare a dovere la vittoria che arriva il colpo di scena extra-sportivo: Rosberg annuncia clamorosamente il ritiro dalla F1.