Circuiti F1 che vanno e che vengono. Ripercorriamo la storia dei circuiti più dimenticati della F1, “meteore” che, ad ogni modo, hanno scritto la storia.
Circuiti che vanno, circuiti che vengono. Dal 1950 ad oggi, la Formula 1 si è “esibita” nei più disparati e variopinti teatri d’asfalto, dall’Europa all’Asia, dalle Americhe all’Oceania, passando per l’Africa. Un “giro del mondo in 68 anni”, potremmo definirlo. Numerosi, evidentemente, i tracciati toccati in oltre sei decenni di attività agonistica iridata. Vi sono circuiti, invero, che hanno recitato il ruolo di comparsa, incastonati tra un Monaco ed un Nürburgring, tra un Silverstone ed un Monza. Più dimenticati dei già poco noti – e sempre più lontani nel tempo – Nivelles, Clermont-Ferrand, Montjuïc, Riverside, Rouen-Les-Essarts, Phoenix, Las Vegas, Dallas, Anderstorp, Valencia. Più dimenticati persino di quell’Istanbul Park che, ad un tratto, era descritto quale “non plus ultra” dei circuiti mondiali, fortunatamente uscito di scena senza troppi rimpianti.
Partiamo dalla copertina del nostro articolo: la rossa Ferrari 246 di Mike Hawthorn circondata da un tanto suggestivo quanto tipico paesaggio nordafricano. Ain-Diab è la prima tappa di questo viaggio virtuale tra i circuiti più dimenticati della F1. Il circuito cittadino di Ain-Diab ospita il GP del Marocco del 1958, ultima prova in calendario. È il 19 ottobre. Il tracciato prende il nome dall’omonimo quartiere della città di Casablanca. Promotore dell’evento, Mohammed V (Sidi Mohammed ben Yusef), dapprima Sultano del Marocco (dinastia Alawide) dal 17 novembre 1927 al 20 agosto 1953 e dal 16 novembre 1955 al 14 agosto 1957, infine Re del Marocco dal 14 agosto 1957 al 26 febbraio 1961, data della morte del reggente. Il circuito, lungo 7,618 km, si addentra nel quartiere per poi andare a costeggiare l’Oceano Atlantico. Suggestivo e ben concepito, Ain-Diab è un susseguirsi di rettilinei e curve veloci; due le curve di ritorno principali, la “Ain-Diab”, subito dopo il traguardo, e la “Boulevard Alexandre”. Senza dubbio, un tracciato tanto rischioso quanto affascinante. Le medie orarie, infatti, lambiscono i 200 km/h. La pole-position è firmata da Mike Hawthorn (Ferrari 246) in 2:23,1, alla media di 191,648 km/h. La gara, tuttavia, vede trionfare la Vanwall VW5 di Stirling Moss, a precedere di oltre 1 minuto le Ferrari di Hawthorn e Phil Hill, la BRM P25 di Jo Bonnier, di oltre 2 minuti la BRM di Harry Schell e di un giro la Maserati 250F di Masten Gregory. Moss ultima i 53 giri previsti (pari a 403,75 km) in 2h 09m 15,1s, alla media di 187,427 km/h. Moss è inoltre autore del giro più veloce in gara: 2:22,5 alla media di 192,45 km/h. È sufficiente il 2° posto a laureare Campione del Mondo Mike Hawthorn: 42 punti per l’alfiere Ferrari (49 senza scarti), 41 per il pilota della Cooper e Vanwall. La corsa è funestata dall’incidente occorso a Stuart Lewis-Evans (Vanwall VW5). Morirà per le gravi ustioni sei giorni più tardi. Quella del 1958 è la sola edizione iridata del GP del Marocco.
Il GP di Gran Bretagna viene comunemente identificato con il tracciato di Silverstone, palcoscenico di ben 51 edizioni del celebre Grand Prix. In 11 occasioni, è il tracciato di Brands Hatch od ospitare il GP di Gran Bretagna, in sole 5, invece, l’onore spetta al circuito semi-permanente di Aintree, città inglese (contea di Merseyside) nei pressi di Liverpool. Inaugurato nel 1954, il tracciato sorge all’interno del complesso dell’ippodromo di Aintree. Cinque, dunque, le edizioni qui disputate del GP di Gran Bretagna: la prima è datata 16 luglio 1955, alla quale seguono quelle del 20 luglio 1957, 18 luglio 1959, 15 luglio 1961 e 21 luglio 1962. Il circuito è lungo 4,828 km e si avvale di due rettilinei principali: il “Finishing Straight” (rettilineo del traguardo) ed il “Railway Straight”, allungo che collega la bella curva “Bechers Bend” alla “Melling Crossing”. All’interno si sviluppa un semplice tratto più guidato, caratterizzato dal “Sefton Straight”, “Cottage Corner”, “Country Corner” e “Village Corner”. Il rettilineo “Valentine’s Way” conduce alla già citata “Bechers Bend”. Nel 1955, Stirling Moss – su Mercedes W196 – conquista pole-position (2:00,4, media di 144,359 km/h) e vittoria, ultimando i 90 giri (pari a 434,520 km) in 3h 07m 21,2s (media di 139,155 km/h). Alle spalle del pilota britannico, le Mercedes di Juan Manuel Fangio, Karl Kling e Piero Taruffi. Nel 1957, si impongono Tony Brooks e Stirling Moss su Vanwall VW 5: Moss, rientrato ai box a seguito della rottura della propria monoposto #18, subentra e va a vincere sulla #20 ceduta da Brooks. Moss pigliatutto e re di Aintree (stavolta assieme a Brooks, con il quale condivide tale successo): pole-position (2:00,2, media di 144,599 m/h) e vittoria (90 giri coperti in 3h 06m 37,8s, media di 139,695 km/h). Le Ferrari 801 di Luigi Musso e Mike Hawthorn completano il podio. Jack Brabham nel 1959 (Cooper T51-Climax), Wolfgang von Trips nel 1961 (Ferrari 156) e Jim Clark nel 1962 (Lotus 25-Climax) sono i vincitori delle ultime tre edizioni del GP di Gran Bretagna disputato ad Aintree. I giri di corsa, nel 1959, 1961 e 1962, scendono a 75, per un totale di 362,100 km. Il miglior tempo in qualifica è firmato nel 1962, da Jim Clark: 1:53,6, alla media di 153 km/h. La piovosa edizione del 1961 è caratterizzata dal podio interamente Ferrari: alle spalle di von Trips, le altre 156 condotte rispettivamente da Phil Hill e Richie Ginther. In foto, le Mercedes W196 di Moss e Fangio ad Aintree, 1955.
Avus, acronimo di Automobil Verkehrs und Übungs-Straße. Berlino. Un nome che evoca tempi eroici, mitologici. Un circuito che identifica un’epoca storica, sublimazione del progresso tecnologico ed infrastrutturale caratterizzante la Germania degli Anni ’20 e ’30. Lungo 19,573 km, si compone di due curve principali: la Nordschleife (indicata anche col nome di Nordkurve) e la Südschleife o Südkurve. A collegare i due anelli, altrettanti lunghi rettilinei, oggi parte della Bundesautobahn 115. Nel 1936, in concomitanza con i Giochi Olimpici di Berlino, viene realizzata una nuova Curva Nord: pavimentata mediante mattoncini e contraddistinta da un banking di circa 44°. Questa mitica curva verrà abbattuta alla fine degli Anni ’60 per lasciar posto ad una curva priva di sopraelevazione, impiegata dal 1968 al 1998. Il tracciato, nel periodo 1936-1939, misura 12,286 km. Nel secondo dopoguerra, il circuito viene sensibilmente accorciato a 8,300 km: è su tale configurazione che le monoposto di Formula 1 disputano il GP di Germania 1959. La nuova Curva Sud (indicata col nome di Südkehre) è ora più stretta, priva di banking e collocata in corrispondenza della curva impiegata nelle competizioni motociclistiche sin dagli Anni ’20. Il 2 agosto 1959, il rinnovato e accorciato circuito dell’Avus ospita il GP di Germania, per la precisione il XXI Grosser Preis von Deutschland. Sono previsti 60 giri, per un totale di 498 km, suddivisi in due manche da 30 giri ciascuna (la griglia di partenza della seconda manche è data dalle posizioni acquisite al termine della prima manche). Cliff Allison (Ferrari 246) si aggiudica la pole-position: 2:05,8, alla incredibile media di 237,520 km/h. Tuttavia, il pilota inglese viene retrocesso in 14a posizione in quanto iscritto come pilota di riserva. La pole passa nelle mani di Tony Brooks (2:05,9). Anche in gara, le velocissime Ferrari 246 piegano la concorrenza: Tony Brooks vince in 2h 09m 31,6s alla media di 230,686 km/h, a precedere i compagni di Scuderia Dan Gurney e Phil Hill. Tony Brooks firma anche il giro più veloce in gara: 2:04,5 alla media di 240 km/h. In quell’ormai leggendario GP, Hans Hermann (BRM P25) è protagonista di un memorabile incidente, tanto violento quanto – fortunatamente – incruento. Poche ore prima, però, Jean Behra perdeva la vita in una gara di supporto al volante di una Porsche RSK. Fatale, la temibile Curva Nord, priva di barriere. In foto, la Ferrari di Tony Brooks guida il gruppo sulla velocissima “Curva Nord”. Alle sue spalle, la Cooper T51-Climax di Moss.
La Svizzera, di certo, non è famosa per i suoi circuiti. Tutt’altro. All’indomani della tragedia di Le Mans 1955, infatti, la Svizzera mette al bando le corse automobilistiche (ad eccezione delle gare in salita e dei rally). È per tale ragione che, il 29 agosto 1982, il XVI Grosser Preis der Schweiz si disputa sul tracciato francese di Digione. Dal 1950 al 1954, tuttavia, la Svizzera organizza ben cinque edizioni iridate del GP di F1 sul proprio territorio metropolitano. Si tratta del circuito semi-permanente di Bremgarten, presso Berna. Rischioso, piovoso, bellissimo, temuto. Un concentrato di saliscendi e curve da apnea. Scarsa la visibilità, a causa della fitta foresta circostante. Qui, il 1 luglio 1948, muoiono Tommaso Omobono Tenni e Achille Varzi. La curva fatale è la medesima: la Eymatt. Lungo 7,280 km, Bremgarten vede trionfare Giuseppe Farina nel 1950 (Alfa Romeo 158), Juan Manuel Fangio nel 1951 (Alfa Romeo 159), Piero Taruffi nel 1952 (Ferrari 500), Alberto Ascari nel 1953 (Ferrari 500) ed ancora Fangio nel 1954 (Mercedes W196). Il miglior giro rimane quello stampato da Fangio nel 1951: il tempo di qualificazione del campione argentino è di 2:35,9, alla media di 168,108 km/h. In foto, Bremgarten 1951: Fangio (Alfa Romeo 159) precede Peter Whitehead su Ferrari 125.
Dici Sudafrica e pensi a Kyalami. Il tracciato di East London (Prince George Circuit è il nome completo dell’impianto) ha saputo ritagliarsi, tuttavia, un piccolo ma importante spazio iridato nella prima metà degli Anni ’60. Il 29 dicembre 1962, il 28 dicembre 1963 ed il 1 gennaio 1965, East London è la sede del GP del Sudafrica di Formula 1. Situato nella Eastern Cape Province, il tracciato subisce numerose modifiche e altrettanti interventi a partire dagli Anni ’30. Si passa, così, dagli oltre 23 km dell’originale tracciato cittadino ai 3,920 km della pista permanente ospitante le tre citate edizioni del GP del Sudafrica di Formula 1. Il circuito, benché corto, presenta tratti interessanti e veloci; le curve più lente sono la “Cocoba” e la “Beacon”, quest’ultima situata appena prima del rettilineo del traguardo. In tutte e tre le edizioni, Jim Clark (Lotus 25 e Lotus 33) firma la pole-position: il miglior tempo è quello fatto registrare nel 1965, 1:27,2, a 161,835 km/h di media. Due le vittorie dello scozzese, nel 1963 e nel 1965 (85 giri percorsi, pari a 333,2 km). Nel 1962, al contrario, è Graham Hill ad imporsi: al volante della BRM P57 ultima gli 82 giri di corsa alla media oraria di 150,610 km/h. In foto, la partenza dell’edizione del 1963: il pole-man Clark (Lotus 25-Climax) è affiancato dalle Brabham BT7-Climax di Jack Brabham e Dan Gurney.
Dal Sudafrica al Portogallo. Il bel Paese bagnato dall’Oceano Atlantico, tra il 1958 ed il 1960, delizia il pubblico della Formula 1 grazie ai circuiti cittadini di Porto e Monsanto. Il 24 agosto 1958 ed il 14 agosto 1960, il Circuito da Boavista (Porto) ospita il GP del Portogallo di Formula 1. Di lunga tradizione, questo bel tracciato si snoda tra le strade della famosa città portoghese. Lungo ben 7,407 km, il percorso presenta due lunghi, veloci tratti rettilinei: l’Avenida da Boavista e l’Avenida do Doutor Antunes Guimaraes. Assai impegnativo e caratteristico il tratto misto che va da Rua do Lidador alla Estrada da Circunvalaçao, segmento, quest’ultimo, che precede il rettilineo del traguardo. Stirling Moss (Vanwall VW5) domina nel 1958: per il pilota inglese, pole-position (2:34,21, media di 172,915 km/h) e vittoria (50 giri in 2h 11m 27,80s alla media di 169 km/h). Nel 1960, John Surtees è autore di una incredibile pole-position al volante della Lotus 18-Climax gestita dal Team Lotus: 2:25,56, alla media di 183,190 km/h. In gara, tuttavia, si impone Jack Brabham su Cooper T53-Climax (55 giri in 2h 19m, 00,03s, media di 175,849 km/h). Nel 1959 (23 agosto), frattanto, Stirling Moss monopolizza il GP del Portogallo, quell’anno disputato sull’altrettanto apprezzato circuito del Monsanto. Questo bel tracciato, ricavato all’interno dell’omonimo parco situato nella città di Lisbona (ancora oggi sono ben visibili le strade che costituivano il circuito), misura 5,440 km. A caratterizzare fortemente il circuito del Monsanto, il rettilineo in corrispondenza dell’odierna autostrada A5. A comporre il tratto misto che si snoda nel parco, le curve “Lake Hairpin”, il rettilineo presso la Estrada Montes Claros, la “Windmill Bend”, la “Estrada do Penedo”, la “Pits Hairpin” (Estrada de Queluz) a precedere il traguardo. In corrispondenza della “Clover Leaf”, oggi si trovano gli accessi e le uscite autostradali. Moss, su Cooper T51-Climax RRC Walker Racing Team, conquista pole-position (2:02,9, 159,349 km/h di media), vittoria (62 giri in 2h 11m 55,41s, media di 153,398 km/h) e giro veloce in gara (2:05,07, media di 156,584 km/h). Inarrestabile. In foto, il GP del Portogallo 1958 sul Circuito da Boavista: si distinguono, anzitutto, la Vanwall #2 di Moss e la Ferrari #24 di Hawthorn. La Cooper T51-Climax RRC Walker Racing Team #4 condotta da Moss durante il GP del Portogallo 1959, Monsanto.
Dal Portogallo alla Spagna il passo è breve. Pedralbes, quartiere di Barcellona. Sulle strade catalane, si disputano due edizioni del GP di Spagna, valide per il Mondiale Piloti di Formula 1: esse recano le date del 28 ottobre 1951 e 24 ottobre 1954. Circuito veloce e dal disegno semplice, si caratterizza anche per l’ampia carreggiata di alcuni tratti, in particolare in corrispondenza del lungo rettilineo di Avenida del Generalisimo Franco (oggi Avinguda Diagonal). In entrambe le prove iridate, la pole-position va ad Alberto Ascari: nel 1951 al volante della Ferrari 375, nel 1954 al volante della Lancia D50. È nel 1951 che il campione italiano fa segnare il giro più veloce (circuito lungo 6,316 km): 2:10,590, alla media di 174,114 km/h. A vincere, tuttavia, sono Fangio ed Hawthorn, rispettivamente su Alfa Romeo 159 e Ferrari 553. Un circuito che porta bene alle Case italiane: Alfa Romeo e Ferrari ai primi tre posti nel 1951 (Jose-Froilan Gonzalez 2° su Ferrari, Farina 3° su Alfa Romeo), Ferrari e Maserati nel 1954 (Luigi Musso è 2° sulla 250F ufficiale #14). In foto, Luigi Villoresi su Ferrari 375 Scuderia Ferrari #4 in testacoda in una fase del GP di Spagna 1951, Pedralbes.
Ci trasferiamo in Canada, terra di motori e circuiti leggendari. Mont-Tremblant, sebbene poco noto in Europa, era ed è tra i circuiti permanenti più goderecci e caratteristici del Nord America. Esso ricalca appieno lo spirito e la forte, sublime caratterizzazione ruspante degli storici tracciati nordamericani (USA e Canada). Tutto è bello a Mont-Tremblant e nulla scontato: il panorama, l’ambiente circostante, la pista. Sorto nel 1964 e oggetto di modifiche nel corso degli anni, il tracciato canadese ospita due edizioni del GP del Canada di Formula 1, datate 22 settembre 1968 e 20 settembre 1970. Situato alle pendici dell’omonimo monte e vicino alla cittadina di Sainte-Jovite (Québec), il circuito brilla per il suo saliscendi da “pelo” e per i suoi tratti misto-veloci alternati a curve più lente ma mai banali. Il breve rettilineo del traguardo conduce alla lunga curva “Conner”, la quale sfocia nella “Le Diable”. Il tratto che va dalle Esse alla lenta “Namerow” è pura poesia, puro godimento per piloti e spettatori. 4,265 km di esaltazione motoristica, oggi come ieri. Jochen Rindt, su Brabham BT26-Repco, si aggiudica la pole-position nell’edizione del 1968: 1:33,8 alla media di 163,689 km/h. Gara massacrante per uomini e mezzi: appena sei auto (su 20 partenti) terminano il GP; il 6° classificato – Jackie Stewart su Matra MS10-Cosworth – ultima 83 passaggi, 7 in meno del vincitore. Denny Hulme (McLaren M7A-Cosworth) vince la corsa, percorrendo i 90 giri in 2h 27m 11,2s, alla media di 156,475 km/h. Hulme è il solo pilota a pieni giri: anche Bruce McLaren, 2°, è doppiato di 1 giro. Nel 1970, Jackie Stewart, su Tyrrell 001-Cosworth, conquista la pole-position: 1:31,5, alla media di 167,803 km/h. La gara, tuttavia, vede le Ferrari 312B di Jacky Ickx e Clay Regazzoni issarsi ai primi due posti della classifica: il belga, in testa dal 32° giro dopo il ritiro di Stewart, ultima i 90 giri in 2h 21m 18,4s, alla media di 162,986 km/h. Nei primi Anni 2000, il circuito di Mont-Tremblant è acquistato da Lawrence Stroll, padre di Lance. In foto, Ickx a Mont-Tremblant nel 1970. Alle sue spalle, la McLaren M14A-Cosworth di Peter Gethin.
Pescara, Abruzzo. Circuito di Pescara, Coppa Acerbo. L’appassionato di storia delle competizioni automobilistiche non può non provare un brivido di piacere ed un sensazione di orgoglio al suono e alla lettura di queste parole, di questi luoghi, di queste corse. Dalla Coppa Acerbo al Mondiale Piloti di Formula 1, da Enzo Ferrari – primo vincitore della competizione nel 1924 – all’ultima 4 Ore di Pescara datata 1961, vinta da Lorenzo Bandini e Giorgio Scarlatti su Ferrari 250 TRI/61 della Scuderia Centro Sud. Nel 1957 – in data 18 agosto – si disputa il XXV Circuito di Pescara, penultima prova del Mondiale Piloti di Formula 1 1957. I conduttori sono attesi ad una corsa estenuante. Pescara. 25,579 km di sana follia motoristica, misura, questa, che identifica il tracciato abruzzese quale circuito più lungo ospitante un GP di Formula 1. Il Nordschleife del Nürburgring, infatti, nella versione impiegata nel Mondiale di Formula 1 dal 1951 al 1976, misura dapprima 22,810 km, quindi – dal 1967 – 22,835 km. Il percorso di gara comprende, anzitutto, due lunghi tratti veloci e rettilinei: il primo, posto in corrispondenza del traguardo (il rettilineo che costeggia il Mar Adriatico e che va da Montesilvano al Fiume Pescara: Corso Umberto I, Via Nazionale Adriatica Nord, Viale Giovanni Bovio, Via Michelangelo, Corso Vittorio Emanuele II, SS 16bis, incrocio P.zza Duca d’Aosta/SS 16bis/P.zza Italia/Via Caduta del Forte, tanto per offrire riferimenti precisi e attuali), il secondo a collegare Cappelle Sul Tavo a Montesilvano (SS 16bis-Via Vestina). In mezzo, quasi a formare un frastagliato lato di un triangolo virtuale, un lungo tratto misto in salita che, da Pescara, conduce a Villa Raspa, Spoltore, quindi alla già citata Cappelle sul Tavo. Circuito sfibrante, micidiale, anche per le forti raffiche di vento provenienti dal mare. Quel 18 agosto 1957 sono in programma 18 giri, pari a 460,422 km. Juan Manuel Fangio (Maserati 250F Officine Alfieri Maserati) scatta col miglior tempo: 9:44,6, alla media di 157,517 km/h. La corsa, non potrebbe essere altrimenti, si rivela logorante: su 16 partenti, solo in 7 ultimano il Grand Prix. Stirling Moss (Vanwall VW5) prevale sulle Maserati di Fangio, Harry Schell e Masten Gregory (questa ultima gestita dalla Scuderia Centro Sud). L’inglese – che conduce in testa 17 giri su 18 in totale – vince in 2h 59m 22,7s, alla media di 154 km/h. Precede di oltre 3 minuti Fangio, di 6 Schell, di 8 Gregory. Circuito di Pescara, orgoglio italiano. In foto, Fangio su Maserati 250F affronta il circuito di Pescara, 1957.
Dal caldo Abruzzo alla fredda Austria. In 18 occasioni, il GP d’Austria si è disputato sul circuito dell’Österreichring, in 11 è stato lo Spielberg (Red Bull Ring, già A-1 Ring) – sorto sulle ceneri del caro, vecchio, inimitabile Österreichring – ad aver accolto le monoposto di Formula 1. Nel 1964, si disputa la prima edizione iridata del GP d’Austria, il II Grosser Preis von Osterreich. È il 23 agosto. La sede designata è l’Aerodromo Hinterstoisser-Zeltweg (Fliegerhorst Hinterstoisser-Zeltweg, nome in uso, però, solo dal 1967), aeroporto militare realizzato nel 1937 presso Zeltweg. Il circuito palesa un disegno estremamente semplice. Al rettilineo del traguardo, segue la lunga curva “Flatschacher”. Successivamente, ecco la “Hangar”, quindi la “Inner Curve”, piega a sinistra che lancia sul rettilineo opposto a quello del traguardo. La “Südenburg Curve” reimmette sul rettilineo d’arrivo. Il tracciato misura 3,200 km. Graham Hill, su BRM P261, si aggiudica la pole-position: 1:09,8 alla media di 164,948 km/h. In gara, la spunta Lorenzo Bandini, alla sua prima ed unica vittoria in Formula 1. Al volante della Ferrari 156 Aero, il pilota italiano completa i 105 giri di gara in 2h 06m 18,23s, alla media di 159,615 km/h. La realizzazione, nel 1969, dell’Österreichring (situato a Nord-Est dell’aeroporto e distante pochi chilometri da quest’ultimo) fa sì che il circuito aeroportuale di Zeltweg – impiegato dal 1957 e sino al 1968 con una certa frequenza – venga definitivamente abbandonato. In foto, Dan Gurney (Brabham BT7-Climax) precede le Ferrari 158 e 156 Aero di Surtees e Bandini.
È il biennio 1994-1995. Gli anni del GP del Pacifico. Sede del GP, l’attuale Okayama International Circuit, all’epoca noto col nome di TI Circuit Aïda (TI è l’acronimo di Tanaka International; Hajime Tanaka è il fondatore del circuito). Immerso in una cornice naturalistica fortemente suggestiva, il tracciato giapponese – lungo 3,703 km – sfoggia un fascino “intimo”, raccolto, “casereccio”, probabilmente sottovalutato. Il segmento più caratteristico e ben riuscito è quello che dalla “First Corner” conduce alla “Attwood”, curva che lancia sul rettilineo che immette nella curva “Hairpin”. Tribune, in entrambe le occasioni, straripanti di appassionati. Il 17 aprile 1994, si disputa il I Pacific Grand Prix. Ayrton Senna (Williams FW16-Renault) firma la pole-position in 1:10,218 alla media di 189,849 km/h. La corsa vede Senna (toccato da dietro dalla McLaren Mp4/9-Peugeot di Mika Häkkinen), Mark Blundell (Tyrrell 022-Yamaha) e Nicola Larini (Ferrari 412T1) abbandonare già alla prima curva. Trionfa Michael Schumacher (Benetton B194-Cosworth), davanti alla Ferrari di Gerhard Berger distaccato di oltre 1 minuto) e alla Jordan 194-Hart di Rubens Barrichello, doppiato di 1 giro. Il campione tedesco ultima gli 83 giri in 1h 46m 01,693s, alla media di 173,925 km/h. Nel 1995 (22 ottobre), nonostante la prima fila monopolizzata dalle Williams FW17B-Renault di David Coulthard (pole in 1:14,013, media di 180,114 km/h) e Damon Hill, è ancora Schumacher ad imporsi in gara, benché protagonista di una pessima partenza tale da relegarlo, al termine del primo giro, in 5a posizione (partiva col 3° tempo). La Benetton B195-Renault, condotta dal futuro ferrarista, si issa in testa al 50° passaggio degli 83 totali. 1h 48m 49,972s di gara, percorsi alla media di 169,443 km/h, che decreta Michael Schumacher campione mondiale per il secondo anno consecutivo. In foto, la partenza del GP del Pacifico 1995: in prima fila le Williams, in coda le Forti FG01-95-Cosworth di Diniz e Moreno, le Pacific PR02-Cosworth di Montermini e Gachot e le Footwork FA16-Hart di Morbidelli e Inoue.
Il recente passato, ancora vivido nei nostri ricordi, ci racconta di due circuiti passati e ben presto dimenticati. Tracciati asettici, monotoni, uguali a se stessi, brutti per non dire squallidi, inutilmente maestosi, pomposi e barocchi, frutto di Hermann Tilke e dei suoi collaboratori, coloro i quali, cioè, hanno reso i palcoscenici automobilistici alla stregua di fredde sale operatorie senza anima né calore. L’era dei circuiti fatti al computer “per-facilitare-i-sorpassi” (salvo, poi, fare i conti con discutibili tracciati cittadini di nuova generazione…) e dalle curve innominate: curva 1, curva 2, curva 3, curva 13. Il Buddh International Circuit di Greater Noida (5,125 km) ed il Korea International Circuit di Yeongam (5,615 km) incarnano appieno questo perverso spirito che contraddistingue gli odierni autodromi. Tra beghe economiche e disguidi organizzativi assortiti, vanno in scena i GP di Corea e India. Quattro i GP disputati in terra di Sud Corea: 24 ottobre 2010, 16 ottobre 2011, 14 ottobre 2012 e 6 ottobre 2013. Corse che vedono trionfare nel 2010 Fernando Alonso (Ferrari F10) e, nelle restanti tre edizioni, Sebastian Vettel (Red Bull RB7, RB8 e RB9, in successione). Ancor più breve la vita iridata del tracciato indiano. Il 30 ottobre 2011, il 28 ottobre 2012 ed il 27 ottobre 2013 vanno in scena le uniche tre edizioni del GP d’India, terra verso la quale la F1 riponeva grandi speranza espansionistiche. Tutte le edizioni sono state vinte da Sebastian Vettel su Red Bull RB7, RB8 e RB9 motorizzate Renault.
La storia sarà spietata, cari circuiti. Altri di voi entreranno, in futuro, nella lista dei “dimenticati”. E non importa, caro circuito, che tu sia bello o brutto, europeo, americano, asiatico o africano, permanente o cittadino. L’oblio ti agguanterà, tuo malgrado. A chi tocca nun se ‘ngrunga, si dice a Roma…
Scritto da: Paolo Pellegrini