A distanza di 20 anni da quel “maledetto” primo maggio 1994, Carlo Cavicchi, direttore di Autosprint in quel periodo, ha rivelato che fu Gabriele Tarquini a notare per primo il piantone rotto della Williams di Ayrton Senna.
Come dimenticare la nera copertina di Autosprint che recitava “La Formula 1 sotto shock – E’ morto Senna”. E poi quelle che seguirono nelle settimane successive con il “vogliamo la verità” e la pubblicazione delle foto che mostravano in maniera evidente che la causa dell’uscita di pista di Senna era stata la rottura del piantone dello sterzo della sua Williams.
“Fu una battaglia contro tutto e contro tutti”, ha rcordato oggi il direttore di Autosprint in suo articolo ospitato su Omnicorse, sito web diretto dall’allora suo vice, Franco Nugnez.
“Eravamo derisi da molta stampa concorrente – ha aggiunto Cavicchi -, attaccati dalla Federazione Internazionale che faceva pressione sul mio editore perché la piantassimo con quella stupida teoria, sommersi da minacce di querela da parte della Williams e del Presidente della FIA, Mosley che chiedeva a gran forza anche la mia testa”.
E poi la rivelazione della fonte che indicò ad Autospint la rottura dello sterzo: “E’ giusto ricordare – ha scritto Cavicchi – che l’intuizione non fu nostra, bensì di Gabriele Tarquini, il campione di oggi che era già un campione anche allora. Fu lui, che di rientro da una gara corsa all’estero, leggendo il numero di Autosprint immediatamente successivo alla morte di Ayrton, notò una fotografia dove un pezzo di piantone, con il volante saldamente attaccato, era appoggiato al fianco della monoposto con ancora il pilota dentro e ormai quasi senza vita. Era in autostrada e ci telefonò incuriosito perché quel taglio netto del piantone non gli era chiaro. Chi l’aveva segato? I soccorsi appena arrivati? E come avevano fatto? Domande che non caddero nel vuoto. Aveva ragione a insospettirsi: così dalla redazione chiamammo subito il dottor Salcito, il dottore dell’autodromo di Imola sulla macchina medica, che era stato anche uno dei primi a giungere sul posto”.
“Nessuno può averlo tagliato – rispose con sicurezza – siamo stati i primi ad arrivare e non avevamo attrezzi da lavoro con noi. Semplicemente un collega, per prestare i primi aiuti, avrà provato a togliere il volante ed è venuto via tutto, il volante più il moncherino di ferro, e l’insieme è stato appoggiato a terra per poter slacciare il casco del pilota”.
E Cavicchi ha poi aggiunto anche altri particolari, dopo la telefonata di Tarquini: “Proiettammo l’immagine il più grande possibile su una parete, e più la guardavamo più ci convincevamo che non poteva esserci altra spiegazione. Così quella fotografia fu sparata in copertina il numero successivo e partì la nostra battaglia per rendere giustizia ad Ayrton”.